“E’ l’unico modo serio per affrontare la questione dello sviluppo economico”. L’analisi del presidente della Fondazione con il Sud, Carlo Borgomeo, dopo la nomina di De Vincenti al ministero (senza portafoglio) per la Coesione territoriale e per il Mezzogiorno.
ROMA – Il Mezzogiorno torna nell’agenda politica italiana e lo fa comparendo, dopo molti anni, nel nome di un ministero. Un nuovo dicastero, quello voluto dal presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, senza portafoglio e dedicato alla Coesione territoriale e, appunto, al Sud Italia. A ricoprire l’incarico di ministro è Claudio De Vincenti, già sottosegretario alla presidenza del Consiglio col governo Renzi, a cui si chiede di portare avanti il lavoro fatto fino ad oggi sul tema della Coesione territoriale, con un’attenzione in più al Sud, come sottolineato dallo stesso Gentiloni in Parlamento. Ma riuscirà un ministero dedicato al Mezzogiorno a lasciare un segno nelle regioni meridionali? Lo abbiamo chiesto a Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione con il Sud, ente non profit privato nato nel 2006 dall’alleanza tra le fondazioni di origine bancaria e il mondo del terzo settore per promuovere l’infrastrutturazione sociale del Mezzogiorno. Quasi mille i progetti sostenuti dalla Fondazione nelle regioni del Sud. Iniziative che hanno coinvolto oltre 5 mila organizzazioni e circa 280 mila cittadini erogando più di 150 milioni di euro.
Per Borgomeo, la nomina di un ministro dedicato da sola non basta. “Non necessariamente implica un avanzamento nella politica e nell’attenzione verso il Sud – ha detto Borgomeo -. A prima vista, tenendo conto anche delle dichiarazioni del presidente del Consiglio Gentiloni, sembrerebbe il frutto di una maggiore attenzione verso il Sud, ma la storia ci insegna che la presenza o meno di un ministro dedicato al tema non necessariamente comporta un miglioramento dell’attenzione e delle politiche. Anzi, in qualche caso è accaduto proprio il contrario. Un giudizio lo potremo dare solo dopo”. A De Vincenti, quindi, oltre all’incarico di portare a termine il lavoro fatto fino ad oggi sulla coesione territoriale con l’omonima Agenzia, va anche il compito di lasciare un segno. E per Borgomeo occorre innanzitutto intervenire rimettendo mano alle priorità del Mezzogiorno.
“Bisogna cambiare la percentuale di attenzione” data alle politiche sociali, spiega Borgomeo. “Fin quando l’attenzione sarà minima, non ci siamo. C’è un approccio al tema dello sviluppo che non condivido. Continuo a sostenere che occuparsi del sociale in tutto il paese, ma soprattutto al Sud, non è solo doveroso per questioni clamorose e crescenti di diseguaglianza, ma è anche l’unico modo serio per affrontare la questione dello sviluppo economico”. Difficile stabilire delle priorità sugli ambiti di intervento. “Bisognerebbe fare una graduatoria dei bisogni, anzi, dei diritti negati – spiega Borgomeo -. Si può partire dai soggetti disabili esclusi, dagli anziani non autosufficienti abbandonati, dalla tratta o dai minori non accompagnati. La costellazione delle questioni sociali è clamorosamente variegata ed è difficile fare gerarchie”. Tuttavia, aggiunge Borgomeo, se si tiene conto che “le politiche di inclusione sono una premessa dello sviluppo economico, riemerge con forza il tema dell’infanzia e dell’adolescenza, della dispersione scolastica e del disagio giovanile. Si tratta dell’investimento maggiormente connesso allo sviluppo. Se è difficile fare una gerarchia tra le priorità, diverso è fare una graduatoria tra gli interventi che possano avere un effetto più diretto sulle condizioni dello sviluppo”.
L’auspicio di Borgomeo è “che queste politiche non vengano considerate accessorie, parziali, dedicate agli addetti ai lavori o riferite a gruppi di problemi particolari, ma diventino più centrali”. E per far questo, occorre far leva proprio sul terzo settore. “La nostra esperienza dimostra che si possono attuare queste politiche facendo riferimento direttamente alle potenzialità e alle esperienze del terzo settore, che ovviamente non va mitizzato. Non è un’area popolata solo da santi ed eroi, ma è un’area nella quale ci sono molti santi, molti eroi e molte persone capaci”. Per questo, secondo il presidente della Fondazione con il Sud, nella definizione delle politiche di intervento occorre “tener conto che probabilmente il nuovo welfare significa anche un rapporto diverso tra pubblico e privato sociale”. Sebbene le risorse messe in campo non siano ancora all’altezza dei bisogni, per Borgomeo non sono solo i fondi a fare la differenza. “Bisogna fare in modo che il nuovo welfare veda diversi attori protagonisti e in modo diverso. Un nuovo welfare in cui finisce la stagione in cui il padrone del gioco è lo Stato e le sue articolazioni e se ne apre una nuova in cui lo Stato ci deve essere, possibilmente con maggiori risorse, ma non deve avere un ruolo di regista assoluto, perché non funziona”. (ga)
Fonte Redattore Sociale