L'aiuto alimentare è la prima forma di inclusione sociale

Intervista a Giuliana Malaguti della Fondazione Banco Alimentare
Qualche settimana fa abbiamo incontrato Giuliana Malaguti, responsabile della comunicazione della Fondazione Banco Alimentare, in occasione della presentazione della 22^ edizione della Colletta Alimentare a Catanzaro. A lei abbiamo chiesto di soffermarsi sull’impegno a tutto tondo della rete del Banco Alimentare nel contrastare il dilagare della povertà.
 

  • 22 anni ma non li dimostra. La Colletta Alimentare rappresenta l’evento di solidarietà più partecipato in Italia, potendo contare sull’apporto di vecchi e nuovi volontari, soprattutto giovani, che nell’ultimo sabato di novembre vestono la pettorina quasi per dimostrare l’appartenenza ad un’idea, ad una missione. E’ un gesto nobile, ma certo è solo una goccia nel “mare magnum” delle povertà.


La 22esima Giornata Nazionale della Colletta Alimentare, organizzata da Fondazione Banco Alimentare Onlus, ha proposto nuovamente un gesto corale di responsabilità. In circa 13.000 supermercati in Italia, sabato 24 novembre, si è celebrata una vera e propria festa di oltre 5 milioni di persone, accolte da 150.000 volontari, con un’età media di 36 anni. Tutti con indosso la pettorina gialla divenuta ormai il simbolo della Colletta Alimentare. E questa grande onda buona che attraversa l’Italia è mossa da un unico desiderio: condividere i bisogni di chi è povero per condividerne il senso della vita. In un’epoca in cui proprio i giovani vengono descritti come “sdraiati ed abulici”, sabato 24 novembre erano in migliaia pronti ad aiutarci fino a tarda ora, in tutta Italia. Giovani volontari accanto a “veterani” con un profondo attaccamento a questo gesto, famiglie pronte a fare la loro parte in una giornata divenuta occasione di educazione per se stessi e per i propri figli. E se è vero che di fronte a 5 milioni di poveri il cibo raccolto, equivalente a circa 16 milioni di pasti, è poca cosa, è altrettanto vero che i fatti accaduti nel corso della giornata sono testimonianze di grande speranza ed umanità con cui poter per guardare al domani.     
 

  • La povertà sta raggiungendo numeri impressionanti. Non di sola povertà “di cibo” si tratta, ma di povertà educativa, di solitudine, di esclusione sociale da ogni contesto, a causa anche di un evento improvviso che può generare questa nuova condizione. Come si sta organizzando la Fondazione Banco Alimentare su questo fronte?

La Rete Banco Alimentare ogni giorno fa la sua parte, salvando dallo spreco tonnellate di alimenti che verrebbero altrimenti distrutte. Questo cibo viene destinato a 1 milione e mezzo di persone le cui necessità primarie spesso nascondono difficoltà molto più complesse, in molti casi affrontate in solitudine: la più grande forma di povertà moderna, insieme a quella educativa.
I profili delle persone assistite negli anni sono molto cambiati: oggi il povero potrebbe essere ciascuno di noi, qualora perdesse il lavoro. Questa forma di “vicinanza” della povertà, di prossimità (nel senso che potremmo essere noi i prossimi) la rende più familiare ad ognuno, ma la rende anche molto più insidiosa perché “possibile”. La nostra attività di recupero delle eccedenze, in rete con le oltre 8.000 organizzazioni caritative sul territorio, è proprio quella di cercare ogni giorno nuove possibilità di approvvigionamento adeguate ai bisogni dei beneficiari. Anche attraverso progetti speciali in partnership con aziende alimentari.      
 

  • La legge Gadda, promulgata per abbattere gli sprechi – si parla di 5,6 milioni di tonnellate in Italia di cibo gettati via – vi ha messo nelle condizioni di recuperare le eccedenze dai supermercati, dalle aziende, ma anche in occasione di eventi e sulle navi da crociera. Quali sono stati i risultati finora conseguiti ed i prossimi margini di intervento?

Nel 2017 abbiamo stimato un 20% in più di alimenti recuperati come Rete Banco Alimentare. Oggi siamo nella fase in cui la legge è nota a quasi tutti e l’incremento va verso una normalizzazione. La legge Gadda, vera eredità di EXPO, è stata per Banco Alimentare  fondamentale, sia perché rappresenta uno strumento di forte orientamento per i soggetti economici che decidono di attivare processi di donazione di eccedenze, sia perché ha favorito il diffondersi di una cultura anti-spreco. E di pratiche di recupero e conferimento cibo che, da “buona azione” occasionale, diventano gradualmente processi standard nelle organizzazioni produttive, distributive della filiera alimentare e nell’HORECA. La cosa certa è che la legge non ha esaurito il suo potenziale applicativo. Ad esempio su tutto il tema del pescato rigettato in mare o dell’ortofrutta non raccolta c’è ancora molto lavoro che si può fare. Ci sarebbe poi tutto il tema legato agli incentivi per chi dona, come l’introduzione da parte delle amministrazioni comunali sulla tassa rifiuti. E poi, da ultimo, ma non ultimo, tutti gli alimenti con il TMC superato (termine minimo di conservazione, ndr), oggi tra le principali cause di spreco domestico perché ancora confuso con la scadenza vera e propria.
 

  • Nei giorni scorsi, come responsabile della comunicazione della Fondazione, Lei è giunta in Calabria per la presentazione della 22^ edizione della Colletta. Ha parlato degli obiettivi che la Fondazione si propone di realizzare il prossimo 24 novembre (si confida nella raccolta di sedici milioni di alimenti da distribuire a circa seicento strutture caritative), ma anche del ruolo educativo che il Banco Alimentare svolge nell’attività di contrasto alla povertà. Si incontrano ancora tante resistenze a fare del bene senza che la persona in stato di bisogno si senta umiliata?

Oggi la difficoltà maggiore è far uscire dal sommerso le richieste di aiuto. Le persone in difficoltà spesso si rivolgono alle strutture territoriali quando la situazione in cui si trovano diviene critica ed emergenziale. Ed è comprensibile perché si tenti di farcela da soli, con le proprie forze, finché non diventa evidente l’impossibilità di riuscirci. E perché si cerchi di proteggere se stessi e i propri familiari dall’esposizione della propria situazione. Il rispetto della dignità della persona e della riservatezza è oggi una caratteristica fondamentale delle diverse forme di aiuto alimentare. Ci sono organizzazioni che consegnano il pacco alimentare a domicilio in “incognito”, per non sollevare le “chiacchiere” del vicinato. Anche questo è un modo per dimostrare concretamente che le persone in difficoltà stanno a cuore.
 

  • Ammettere la propria condizione, da parte di chi nello stato di bisogno non è nato, è più difficile. L’Istat, così come la Caritas, ci ricordano nei loro sondaggi che l’aumento della povertà tra i giovani senza lavoro, le famiglie separate o sconvolte da eventi luttuosi, sta raggiungendo cifre preoccupanti. Ed anche Papa Francesco ci dice di non restare indifferenti dinanzi al grido del povero. In Calabria, poi, dove la mancanza di lavoro è atavica, le cifre sono ancora più impietose: eppure la solidarietà tra le persone e il mondo dell’associazionismo che gravita attorno al Banco Alimentare ancora fa da perno e sostegno a situazioni drammatiche. E’ chiaro che il pacco alimentare non basta. La Fondazione può promuovere percorsi di inclusione ai decisori politici, con il coinvolgimento della cittadinanza, del mondo della scuola e del Terzo Settore?

La Rete Banco Alimentare, grazie alla sua presenza radicata nel territorio, spesso è sollecitata dalle istituzioni o dai cittadini stessi a contribuire nella costruzione di percorsi di aiuto che vadano oltre la, seppur importantissima, consegna di alimenti. Sono frequenti le sinergie con altri soggetti del Terzo Settore.  Addirittura è nata una collaborazione a livello nazionale con il Miur per essere presenti in percorsi educativi nelle scuole.
La Fondazione non ha come “mission” primaria la promozione di percorsi di inclusione, ma, per la natura della propria attività, di fatto è coinvolta in tantissime esperienze che si occupano proprio di questo.
Ciò ci permette di affermare che l’aiuto alimentare è in effetti “una prima forma di inclusione sociale”. Queste sono le ragioni nel tempo elaborate: il sostegno alimentare è una sorta di collante sociale che apre spesso l’individuo all’accettazione di altre forme di aiuto, più orientate ad un percorso di inclusione. Il sostegno alimentare alleggerisce spesso i beneficiari da “preoccupazioni” primarie rendendoli più proattivi verso azioni volte ad un miglioramento generale della loro condizione (accesso ai servizi, ricerca del lavoro ecc.). Il sostegno alimentare, inoltre, si accompagna all’educazione verso una alimentazione più sana ed equilibrata. In più occasioni ad esempio la Fondazione ha promosso azioni di sostegno alimentare mirato (verso i bambini o gli anziani), in partnership con altri soggetti; azioni che non si sono limitate alla consegna di cibo, ma che hanno promosso anche la consegna di materiale informativo sul tema dell’alimentazione sana.
Oggi la Rete Banco Alimentare ha certamente elaborato un bagaglio di esperienza importante, e tale da   poter offrire un contributo più ampio presso la società. E questo spesso viene richiesto e riconosciuto. Ma non basta. E’ necessario proseguire su questa strada, identificando alleati e risorse preziose per implementare gli sforzi messi in campo, a vantaggio dei più poveri tra noi.
 
                                                                                              
                                                                                                    Benedetta Garofalo
Ufficio stampa CSV Catanzaro
 
     

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