Si intitola “Cattivi maestri” l’ultimo libro del fondatore della Comunità Progetto Sud, edito dalle Dehoniane di Bologna. “E’ un libro per i giovani, non vengano ‘catturati’ dai mafiosi, e non si facciano incantare dalle slot o dai social”.
LAMEZIA. “In molti luoghi del nostro Paese la mentalità mafiosa si insinua nel modo di pensare comune. È la mentalità dei boss, delle donne di mafia e dei giovani in carriera nelle cosche, ma anche quella che si respira nelle relazioni, nelle parole e nei silenzi delle città. Piegate al raggiungimento degli scopi criminali dei clan, le regole ‘educative’ criminali si impongono nelle comunità locali e insegnano il potere della forza, l’importanza di riprodurre modalità rigide e ripetitive di comportamenti sociali – come la riscossione del pizzo – mostrano che chi apprende, dopo essere stato messo alla prova, ottiene fiducia e fa carriera. L’educazione dei giovani criminali, allenati a collocare in secondo piano i sentimenti e l’amicizia, avviene sul campo, anche attraverso le condanne, pure feroci, di coloro che sbagliano, dimostrazioni lampanti che uno sparuto gruppo di persone riesce ad ‘ammaestrare’ interi quartieri e intere città”. E’ uno stralcio di “Cattivi maestri. La sfida educativa alla pedagogia mafiosa”, l’ultimo libro di don Giacomo Panizza, fondatore e presidente della Comunità Progetto Sud, edito dalle Dehoniane di Bologna. Il sacerdote che da quarant’anni vive a Lamezia Terme, al centro della Calabria, su questa sua fatica letteraria afferma: “E’ un libro per i giovani, perché capiscano l’importanza di lasciarsi educare alla libertà; perché non vengano ‘catturati’ dai mafiosi, e non si facciano incantare dalle slot o dai social”. Don Giacomo asserisce: “I mafiosi chiamano ‘cattivi maestri’ chi insegna a riflettere e ad essere liberi e critici. La Chiesa – aggiunge don Panizza – tiene alla libertà, alla formazione della coscienza critica dei giovani”.
Il sacerdote sottolinea che “esperienza di libertà può essere la formazione di una band musicale, di una cooperativa che opera sul territorio; insomma una qualsiasi realtà che non abbia né padrini e né padroni e che incida in maniera propositiva per il contesto sociale in cui si sviluppa”. Nel suo libro il fondatore della Progetto Sud parla di “alternativa alla pedagogia mafiosa”, ovvero di insegnamento che non sia unicamente mero nozionismo scolastico, che non si limiti al sapere leggere e saper scrivere. “Bisogna insegnare ai bambini, ai ragazzi, ad essere cittadini consapevoli; uomini e donne che sappiano vivere a testa alta – incalza don Panizza – Non basta sapere ma bisogna sperimentare, bisogna manifestare contro i delitti di mafia, contro l’inquinamento ambientale, contro i servizi che non funzionano”. Ormai meridionale d’adozione, dopo quarant’anni vissuti da emigrante alla rovescia nel cuore della Calabria, don Giacomo rimarca il fatto che “purtroppo i mafiosi non si fermano ma è sicuramente cresciuta la capacità di capire che esagerano, che imbrogliano, che non sono un esempio da emulare. La manovalanza, le nuove leve dei clan, anche quelle ci sono! A loro i mafiosi insegnano che sono ‘cattivi maestri’ quelli che vivono e lottano per l’onestà e la legalità”.
A tal proposito, il presidente della Progetto Sud rimarca: “Davanti a questo preoccupante fenomeno, ben si comprende che le protesta e le manifestazioni per la salvaguardia dei diritti sono importanti ma non bastano. Per non dare importanza e non far prendere potere ai ‘cattivi maestri’ serve l’educazione quotidiana alla legalità. Una battaglia che tutti devono combattere e non solo chi, dichiaratamente, fa antimafia”. La prefazione del libro, affidata al giornalista e scrittore Goffredo Fofi, apre sui ventidue capitoli che in 208 pagine spaziano dall’Elenco delle cose che mi piacciono del Sud” alla “Ballata dell’antiracket”, dai riti di sangue al come riprendersi i diritti e la politica; senza dimenticare “la prudenza in sacrestia perché il festeggiato non è il boss”. (Maria Scaramuzzino)
Fonte Redattore Sociale