Nell’ultimo rapporto OCSE “Ready to Help? Improving Resilience of Integration Systems for Refugees and other Vulnerable Migrants” si sottolinea che l’aumento della popolazione di rifugiati nei paesi OCSE – passati da circa 2 milioni a metà del 2013 ai circa 6 milioni di oggi – ha avuto un notevole impatto, sia in termini geografici e demografici ma anche in termini di pressione sui servizi di accoglienza e inclusione.
Viene rilevato che i recenti flussi di rifugiati comporteranno un aumento della popolazione in età lavorativa dei paesi europei dello 0,3% entro la fine del 2020. Allo stesso tempo, per questa categoria di migranti restano le difficoltà di accesso nel mercato del lavoro, a causa di livelli di istruzione più bassi rispetto alla popolazione nazionale che ritardano i percorsi di inserimento lavorativo. In alcuni paesi, l’effetto dell’aumento dei rifugiati sarà più evidente: in Austria, Grecia e Svezia, la forza lavoro aumenterà dello 0,5% e in Germania dello 0,8%. In Turchia, i rifugiati siriani rappresentano già circa il 3% della popolazione in età lavorativa.
“L’integrazione è una grande sfida se non la più importante tra le sfide legate all’accoglienza dei rifugiati e di altri migranti vulnerabili”, ha dichiarato Ulrik Vestergaard Knudsen, Segretario generale aggiunto dell’OCSE, durante la presentazione del Report a Parigi nell’ambito del meeting finalizzato a un “Dialogo sulle politiche per l’integrazione dei rifugiati e altri migranti vulnerabili”. “Garantire una migliore integrazione richiede un investimento immediato”.
Basandosi sulle raccomandazioni del Global Compact on Refugees e del lavoro svolto da OCSE, il rapporto identifica una serie di politiche per migliorare le strategie di integrazione, fra le quali si segnalano:
- Aumentare la cooperazione e la collaborazione internazionali. I paesi sono stati colti alla sprovvista dalle recenti crisi umanitarie di rifugiati, a causa della mancanza di piattaforme efficaci di condivisione e elaborazione delle informazioni per cogliere i primi segnali dell’aumento di tale fenomeno, ma anche dell’assenza di accordi di collaborazione e aiuto reciproco. Il coordinamento e il coinvolgimento di tutti gli attori impegnati in azioni umanitarie, di cooperazione e di pace nei paesi in via di sviluppo che ospitano i rifugiati – l’85% dei rifugiati nel mondo è nei paesi in via di sviluppo – sono essenziali.
- Rafforzare gli sforzi per aiutare i rifugiati e i migranti vulnerabili a inserirsi nel mondo del lavoro, attraverso una maggiore trasparenza e semplificazione dei percorsi di integrazione lavorativa, di sostegno all’occupazione tradizionale, riconoscimento delle competenze e supporto linguistico.
- Lavorare più strettamente in un’ottica multi-livello con un numero allargato di attori e parti coinvolte nell’integrazione dei migranti, compresa la società civile, il settore privato, le parti sociali e gli organismi governativi. In particolare, i datori di lavoro ricoprono un ruolo chiave nei processi di integrazione, mentre il coordinamento tra amministrazioni centrali e locali è fondamentale per raggiungere in modo efficace i rifugiati distribuiti sul territorio.
- Mettere in atto una chiara strategia di integrazione a lungo termine, inclusi eventuali programmi di rientro verso i paesi di origine, laddove è possibile.
- È inoltre necessario un piano di intervento strutturato per identificare i partner, i canali di comunicazione e le responsabilità per fare fronte ai grandi flussi di persone che cercano protezione.
Il Rapporto affronta 22 punti chiave finalizzati a migliorare la capacità dei Paesi OCSE di trovarsi pronti di fronte a questi fenomeni. Il rapporto è il risultato del lavoro congiunto delle diverse unità interne dell’Organizzazione ed esamina le esperienze più recenti, espone aree di interesse per i decisori politici, indica buone prassi e sintetizza le ultime ricerche in tale campo.
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