In controtendenza con i dati nazionali, le donne in Calabria non denunciano la violenza subìta in tempi di quarantena. Ed è un dato che mette in allarme Stefania Figliuzzi, presidente dell’associazione e del centro antiviolenza “Attivamente Coinvolte”, aderente alla rete nazionale “Di.Re” (Donne in Rete contro la Violenza), e chi come lei si spende in prima persona per garantire alle vittime di violenza un futuro diverso.
E’ chiaro, infatti, che le donne calabresi non compongano il 1522 (numero antiviolenza attivo 24 ore su 24, messo a disposizione dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento delle Pari Opportunità) o il 112 o il 113 non perché non conoscano la violenza – e non sappiano che possano sfuggirla approfittando dei pochi momenti in cui è consentito uscire di casa – ma perché non possono contare su un’indipendenza economica che consenta di affrancarsi dal compagno violento.
Ed è questa la spiegazione più plausibile che, in buona sostanza, delinea anche le differenze comportamentali tra le donne del nord e sud d’Italia: “La debolezza economica incide, purtroppo, sulla capacità di gestione dell’intero problema, e le donne continuano a subire e a sopportare in silenzio perché non scorgono altre vie d’uscita – è il commento amaro dell’avvocato Figliuzzi, raggiunta telefonicamente dal CSV di Catanzaro – L’emergenza sanitaria che le costringe in casa, poi, aggrava la percezione di non avere alternative, e le convince di poter “gestire” il compagno anche in questo periodo. Ma il rischio è che, a forza di subire, abbiano alla fine un crollo psicologico”. C’è poi il pericolo “Covid 19”. Le donne che si allontanano da casa non potrebbero neanche entrare in un centro antiviolenza, in quanto potenzialmente “portatrici” del virus: da qui l’impegno della Figliuzzi per siglare convenzioni con privati, titolari di residence e b&b, sia nella provincia di Catanzaro che di Vibo Valentia, perché diano un rifugio sicuro a quante debbano trascorrere il periodo di quarantena previsto, in attesa che vengano accolte nei centri antiviolenza. Anche se rimane la direttiva emanata di recente dal Procuratore di Trento, Sandro Raimondi, la risposta più equa alla violenza, e non solo in tempo di Covid: in caso di pericolo, devono essere i maltrattanti, e non le vittime e i bambini, a lasciare il domicilio. E’ una direttiva che mette tutti d’accordo, afferma la Figliuzzi, e che dovrebbe essere sempre applicata di norma, perché difende i più deboli ed è percorribile sia in sede penale che civile.
E quando lo stato di emergenza cesserà, la Figliuzzi sa già che ci sarà un’impennata di telefonate di aiuto: “Con le socie e le operatrici stiamo già definendo in videoconferenza il corso formativo regionale per nuove operatrici dei centri, che avremmo dovuto tenere a marzo – chiarisce la Figliuzzi – Ci aspetta un grande lavoro, ed abbiamo più che mai bisogno di donne preparate a dare soluzione ai drammi di altre donne”.
Ufficio stampa CSV Catanzaro