In tempo di Covid
E’ arrivata la pandemia, tutto il mondo in quarantena.
La gran parte della gente scontenta di essere privata della cosa più preziosa che abbiamo: la libertà.
Ma te ne accorgi solo quando ti viene a mancare.
Un malato cronico ha avuto tempo di accorgersene da quando si è ammalato. Nei periodi più critici della malattia, quando gli vengono imposte “quarantene” obbligatorie per la paura che qualche virus possa peggiorare ulteriormente la situazione.
Quarantene obbligatorie.. forse è questo il perno del discorso: l’obbligatorietà.
Tante volte ho sentito dire alle persone:” quanto mi piacerebbe avere più tempo di stare a casa!”, ma ora ci si lamenta perché dobbiamo rimanerci.
Mi fa un effetto strano sapere che mentre prima la paura era un problema di pochi, oggi è un problema di tutti.
Strano perché dopo vent’anni di malattia e varie peripezie, quello a cui ho sempre aspirato ed anche lottato è una cosa sola: la qualità della vita.
Ho sempre detto che la malattia cambia la qualità di vita, ed un malato che sa di non poter guarire aspira ad avere una qualità di vita quantomeno migliore.
Perché il mondo corre e tu rimani sempre un passo indietro.
Ora in questo periodo storico di pandemia non c’è distinzione tra sano- malato, abbiamo un obiettivo comune: la qualità della vita.
La qualità di vita di tutti è cambiata, sta prendendo nuove forme, e nuovi modi di essere.
E allora bisogna entrare nell’ottica che non avremo più la vita di prima, ma avremo un nuovo modo di vivere.
Prima prenderemo consapevolezza di questo, prima ci renderemo conto di poter fare le stesse cose e tante altre nuove, ma in modo diverso.
Mi sembra di rivedere a rallentatore l’inizio della malattia, il cambiamento forzato delle abitudini, delle relazioni sociali e dei rapporti famigliari, insomma, uno stravolgimento totale della vita.
Niente certezze e punti di riferimento e tanto smarrimento.
Ma partendo da questa consapevolezza si può trovare una qualità di vita diversa dal nostro punto di vista abituale , ma sicuramente più profonda e soddisfacente.
In questo i malati cronici potrebbero dare lezioni.
In questo tempo di pandemia abbiamo dovuto adottare per forza di cose misure di distanze fisiche, ma certamente si sono rafforzati i rapporti sociali. Abbiamo avuto la possibilità con tutti i mezzi di comunicazione e la nuova tecnologia di accorciare queste distanze. Certo non ci siamo potuti toccare, vedere dal vivo, e rinunciare ad un abbraccio consolatorio che in alcuni momenti vale più di mille parole.
In tempi non molto lontani ognuno a modo suo cercava in ogni modo di curare tante cose, da non aver tempo di fermarsi a prendersi cura della cosa più importante: sé stessi. Ci siamo riempiti il tempo con qualunque cosa, dimenticandoci che il tempo è prezioso, e non ci serve un tempo quantitativo ma qualitativo.
Ho vissuto la paura del contagio, ma non più di altre volte. La paura ti fa tenere alta l’attenzione, il terrore o il sottovalutare il problema invece ti fa compiere passi falsi.
Certamente ci ho pensato, sarei bugiarda a dire il contrario, sarebbe stato impossibile non farlo in quanto siamo stati bombardati con ogni mezzo di comunicazione. Ad un certo punto ho spento il televisore, perché lo sentivo come un martellamento psicologico. Ovvio che mi sono tenuta informata, ma una sola volta al giorno.
Alla fine ho adottato la tecnica (oramai sperimentata da anni) di spostare l’attenzione dal problema e fare cose che avevo lasciato in sospeso. Perché mi sono chiesta l’unica differenza dalle altre “quarantene” è che non sono sola, ma il resto del mondo la fa con me.
Questo si che mi fa venire l’angoscia! Io ci sono abituata, gli altri si dovranno abituare.
Ho ascoltato con molta più attenzione i miei “compagni d’avventura” (così li chiamo io) affetti da patologie croniche . Abbiamo condiviso le paure di non poter fare controlli, e anche di un eventuale contagio che per noi sarebbe stato fatale.
Per forza di cose mi viene naturale fare un parallelo.
In ogni “tappa” del mio percorso di malattia ho sempre dovuto rinunciare o rimandare qualcosa che stavo cercando di realizzare. Ho sentito la mia vita “ sospesa”, e questo mi ha costretta a rivedere i miei progetti i miei sogni. E partendo da questo ho cercato di ricostruire e di ripartire guardando la vita da un’altra prospettiva e a rivedere le mie priorità.
Adesso in questo periodo storico abbiamo avuto tutti del tempo “sospeso”, tempo che non è mai perso se lo abbiamo utilizzato per fare cose che porteranno poi a costruire il nostro futuro.
Una parte del mio tempo l’ho impiegato a far nascere un piccolo orto biologico, e questo oltre che a tenermi impegnata in una cosa nuova mi ha fatto molto riflettere.
Forse nella mia riflessione posso tentare di farvi capire il mio punto di vista.
Dovremmo imparare dal contadino.
Un contadino semina il campo dopo aver preparato il terreno, ma senza avere la certezza di raccogliere i frutti.
E’anche vero che non rimane fermo tutto il tempo seduto davanti al campo per vedere se i semi sbocciano, ma se ne prende cura. Annaffia, toglie le eventuali erbacce ecc. Sempre con la consapevolezza che non sa fino al tempo opportuno se dei semi piantati ne raccoglierà solo uno, oppure zero o avrà un raccolto abbondante. Solo ci spera.
Può capitare che tutti i semi sbocciano e danno frutti, oppure solo alcuni, oppure capita che nonostante la cura e l’impegno il raccolto va male.
Se il campo sarà infruttuoso non vuol dire che il contadino non pianterà più nulla, ma arerà di nuovo il terreno e pianterà altre cose.
Voi direte :”ma questo non ha nulla a che fare con noi”.
Se fate attenzione, ha molto a che fare con la nostra vita .
Ognuno di noi è un piccolo contadino. Il campo è la nostra vita, i semi sono i progetti e i sogni che noi andiamo ad iniziare o vorremmo realizzare.
In questo tempo di emergenza è stato come se un vento gelido fosse venuto a soffiare sul nostro “campo” gelando tutti i semi che noi avevamo riposto con la speranza di un raccolto abbondante.
Adesso che abbiamo perduto il raccolto, teniamo sempre a mente che non abbiamo perso tutto, abbiamo sempre il campo (la nostra vita), e da qui bisogna ripartire.
Non da dove avevamo lasciato, né come facevamo prima, ma con nuovo metodo e nuovi “semi” da piantare.
Certamente i cambiamenti fanno paura, ma a volte sono necessari alla sopravvivenza. E un malato cronico questo lo sa bene.
Ma non dimentichiamo che in mezzo al nostro campo non deve mancare mai il “seme” della speranza che è quello che ci darà nuovo fervore per ricominciare ogni qualvolta che la vita ci porterà ad avere “tempo sospeso”.