Nel limbo delle Onlus, tra utilità sociale e attività da svolgere

Ancora oggi è possibile assumere la qualifica di ONLUS, opportunità riconosciuta a diverse tipologie di forme giuridiche connotate dall’assenza di scopo di lucro soggettivo e dalla circostanza che le attività siano rivolte a soggetti svantaggiati, salvo alcuni ambiti di intervento, come la beneficenza o la tutela della natura, in quanto considerati ad impatto solidaristico immanente.
Tale scelta può essere opportuna per quei soggetti che non possono assumere la qualifica di organizzazione di volontariato o di associazione di promozione sociale in quanto l’ente assume la forma di fondazione oppure il sodalizio non si caratterizza per il prevalente apporto di volontari.
L’organizzazione potrà beneficiare delle agevolazioni proprie delle ONLUS fino al periodo di imposta successivo all’autorizzazione della Commissione europea rispetto ai nuovi regimi fiscali introdotti con il Codice del Terzo settore e, comunque, non prima del periodo di imposta successivo di operatività del già menzionato registro, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 89 del 25 ottobre 2019.
Del pari la ONLUS potrà accedere alle agevolazioni previste dal Codice del Terzo settore (Cts) con riferimento alle imposte indirette (art. 82), alle agevolazioni fiscali che possono garantire ai propri donatori (art. 83) oltre alla possibilità di partecipare ed incentivare i percorsi di coprogrammazione e coprogettazione con la pubblica amministrazione (art. 55) come alle altre disposizioni espressamente indicate all’art. 104, primo comma, del dlgs 117/2017.
Quando sarà operativo il Registro unico nazionale del Terzo settore la ONLUS dovrà quindi valutare se assumere pienamente la qualifica di ente del Terzo settore (qualora sia cresciuto il numero di volontari e si tratti di un’associazione potrà eventualmente iscriversi nella sezione dedicata alle associazioni di promozione sociale o delle organizzazioni di volontariato, o potrà qualificarsi come ente filantropico se l’attività caratteristica è la beneficenza, o, ancora, essere ente del Terzo settore generico o assumere la veste di impresa sociale), oppure se proseguire la propria attività al di fuori del perimetro degli enti del Terzo settore. Nel qual caso dovrà devolvere il patrimonio prodotto dall’accesso alle agevolazioni conseguenti alla qualifica posseduta ad altro ente del Terzo settore.
Se resterà all’interno del Terzo settore sarà in ogni caso necessario svolgere sempre attività di utilità sociale: l’articolo 4 del Cts prevede infatti che gli enti del Terzo settore devono perseguire “finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale”.
Tale locuzione sembra affermare come non sia sufficiente che il sodalizio svolga, con modalità non lucrative, attività tassativamente indicate come di interesse generale ma che attraverso di esse realizzi congiuntamente finalità di natura civica, solidaristica e di utilità sociale.
Per definire il concetto di utilità sociale, in attesa degli auspicati chiarimenti ministeriali, possiamo avvalerci di quanto previsto oggi in materia di ONLUS che, come anticipato, devono svolgere attività nei confronti di soggetti svantaggiati, salvi alcuni ambiti di intervento.
La Cassazione (Sentenze n. 7311/2014, 3789/2013) ha avuto modo di affermare che la nozione di svantaggio individua categorie di persone in condizioni oggettive di disagio per situazioni psico-fisiche particolarmente invalidanti ovvero per situazioni di devianza, degrado, grave precarietà economico-familiare, emarginazione sociale e che tale individuazione risulta seguita anche nella prassi amministrativa (Circolare del 26/06/1998 n. 168), la quale prevede, in via esemplificativa, quali soggetti in situazioni di svantaggio rilevanti:
– i disabili fisici e psichici affetti da malattie comportanti menomazioni non temporanee;
– i tossicodipendenti;
– gli alcolisti;
– gli anziani non autosufficienti in condizioni di disagio economico;
– i minori abbandonati, orfani o in situazioni di disadattamento o devianza;
– i profughi;
– gli immigrati non abbienti.
Recente è la sentenza della Cassazione (n. 16756 del 6.8.2020) che ha confermato come lo stato di disoccupazione non rappresenti di per sé situazione di svantaggio.
Provando ad esemplificare, il circolo culturale potrebbe dimostrare di perseguire finalità civiche attraverso la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui temi della migrazione, finalità solidaristiche attraverso la realizzazione di corsi gratuiti di italiano per stranieri e finalità di utilità sociale attraverso l’accompagnamento dei rifugiati ai servizi pubblici.
L’associazione sportiva dilettantistica di promozione sociale potrebbe dimostrare di perseguire finalità civiche attraverso la realizzazione di manifestazioni sportive a impatto ambientale zero, finalità solidaristiche attraverso la previsione di costi di accesso alle attività legate alle condizioni socioeconomiche dei soci e finalità di utilità sociale attraverso l’organizzazione di attività diretta a disabili.
Sulla corretta interpretazione di cosa intenda il legislatore con “finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale” si attendono però gli opportuni chiarimenti prima che siano gli organi accertatori a definirne il perimetro.
Fonte: CSVnet

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