Servizio civile, tre sfide per la ministra Dadone

Col Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) possiamo finalmente rendere il servizio civile universale, davvero universale. Ovvero aperto a tutti i ragazzi (di entrambi i sessi, italiani, cittadini UE e stranieri residenti) fra i 18 e i 28 anni che ne fanno richiesta. Sembra un controsenso, visto il nome dell’istituto, ma ad oggi non è così. Il servizio civile è ancora un “privilegio” per pochi.
Questa bella istituzione italiana ha sostenuto nel corso dei decenni passati la crescita di impatto sociale ed economico del Terzo Settore, inclusa l’alimentazione e il rinnovamento dei volontari. In particolare dal marzo dello scorso anno ha contribuito, in modo spesso determinante, a dare continuità nei territori alle attività delle organizzazioni e ha permesso loro di adeguarsi velocemente ai nuovi bisogni. La presenza quotidiana di migliaia di operatori volontari è stata un esempio di impegno civico e di difesa civile delle comunità dal virus, dimostrando che i giovani sono disponibili a impegnarsi quando ci sono organizzazioni che propongono loro attività motivanti. Adesso con il Pnrr si tratta di uscire dalla fase sanitaria della pandemia con assetti sociali, economici, culturali, istituzionali che ci preparino ad affrontare le tre transizioni (sociale, ecologica, digitale) da cui dipende il futuro del Pianeta.
La piena valorizzazione dell’impianto della riforma del Terzo settore e del servizio civile datata 2016 può incrementare l’effetto positivo che già oggi le centinaia di programmi e progetti in cui sono impegnati i giovani generano nelle politiche di cura delle persone, dell’ambiente, del territorio, dei beni culturali, di promozione culturale e di educazione all’impegno civico, di sostegno alla cooperazione allo sviluppo. Nello stesso tempo le spinte alla costruzione del futuro giusto e umano con le transizioni ecologica, digitale, sociale introducono una spinta all’innovazione e all’ampliamento dei settori di intervento, come alla innovazione di pratiche organizzative a volte ingessate e burocratiche, generate dalla normativa pubblica di settore.
A fronte di queste opportunità, nel concreto, quali sono le condizioni che possono rendere possibile questo successo?
Ci sono tre specifiche responsabilità politiche del Governo e della ministra delegata Fabiana Dadone.

  1. Attualizzare le finalità del Servizio civile universale (pace e partecipazione) in una società scossa da tensioni che sempre più spesso attivano modalità violente di affrontare e risolvere i conflitti, in cui le diseguaglianze e le esclusioni di interi settori e territori richiedono più che mai un SCU che educa i giovani alla azione pacifica e concreta.
  2. Allargare la platea della popolazione giovanile coinvolta. Nel 2022-2023 si prevedono finanziamenti per 55mila posizioni all’anno. Nel 2021 furono 125.286 le domande. L’allargamento numerico permette anche allargamenti qualitativi: più persone con disabilità, più persone con povertà materiali e culturali, più persone straniere residenti nel nostro Paese inseriti nel circuito del servizio civile.
  3. Garantire una governance inclusiva degli attori interni al sistema (dipartimento, enti accreditati, rappresentanza degli operatori volontari, regioni e province autonome) e coinvolgere nuovi soggetti sociali. Dal 1998 la governance inclusiva è stata il segreto che ha permesso, con un organico pubblico centrale di poche decine di persone, di governare efficacemente migliaia di organizzazioni nel territorio e impegnare centinaia di migliaia di giovani. Ora però un Dipartimento adeguato alla prospettiva del Servizio civile universale, sia per numeri che per qualità dell’organico è più che mai necessario.

Al momento su nessuna di queste tre condizioni abbiamo risposte positive e questo è un bel problema da superare, se non vogliamo gettare alle ortiche un istituto che ci invidiano in buona parte d’Europa.
Ci sono poi altre tre sfide che riguardano le organizzazioni del Terzo Settore che animano il Servizio civile universale.

  1. Inserire i programmi e i progetti di Scu nell’alveo della coprogrammazione e coprogettazione richiesta dall’art. 55 del codice del Terzo settore. Questo significherebbe aumentare la consapevolezza politica della posta in gioco.
  2. Accogliere la sfida del dialogo con i giovani, le loro energie, idee, modalità di partecipazione con l’autorevolezza di chiedere loro impegno costante, disponibilità per contribuire insieme al superamento dell’attuale esclusione economica e politica dei giovani, utilizzando il PNRR per una sostanziale redistribuzione a loro vantaggio del potere e delle opportunità.
  3. Rendere riconoscibile e sostenibile il contributo degli enti. Ad oggi, al di là dell’assegno mensile per i giovani, tutte le altre spese (promozione, selezione dei volontari, loro impiego, formazione, monitoraggio, reportistica) sono a carico degli enti. Il Pnrr impone non solo di continuare a svolgere a dovere queste funzioni ma anche la valorizzazione delle competenze e la misurazione dell’impatto dei progetti. Occorre urgentemente affrontare il nodo di chi si faccia carico di queste funzioni.

*Licio Palazzini è Presidente CNESC
Fonte: Vita.it

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