Disabilità, diritto e ricorsi: le famiglie in tribunale

La legge riconosce i diritti, ma le istituzioni spesso non la applicano: ausili non concessi, ore di assistenza o di sostegno scolastico insufficienti sono tra le ragioni che spingono molte famiglie con figli disabili a rivolgersi ad avvocati e tribunali. La vittoria arriva quasi sempre, ma a quale prezzo?
ROMA – In principio c’è la legge, che dovrebbe tutelare. Poi però arriva, spesso, la violazione della norma. Se c’è la forza, arriva il ricorso. E quasi sempre, la vittoria. Tutto questo, con un notevole dispendio di energie, che a malapena bastano per affrontare le fatiche e le difficoltà dell’assistenza. E’ il conflittuale rapporto tra giustizia e disabilità, che vede le famiglie sempre più spesso costrette a ricorrere ad avvocati e tribunali per veder applicati diritti che altrimenti resterebbero solo sulla carta. Di “sentenze storiche” parliamo spesso su queste pagine: una per tutte, quella espressa nel 2016 dalla Corte Costituzionale (n. 275/2016), che sancì con chiarezza e fermezza che “è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione”. In altre parole: servizi, sostegni economici o di altra natura devono essere riconosciuti e assicurati in relazione al bisogno effettivo e nella tutela dei diritti e non possono in alcun modo essere vincolati alle esigenze di bilancio.
Questa è la teoria. In pratica, sono tanti i casi in cui le famiglie – i genitori, soprattutto – devono imbarcarsi in complessi, lunghi e impegnativi ricorsi, per ottenere quanto la legge dovrebbe assicurare. Solo qualche settimana fa, ci è voluto il Consiglio di Stato per dar ragione a una coppia di genitori che lamentavano il mancato inserimento del figlio adulto con disabilità in un centro diurno: non era bastato il primo livello di ricorso, dato che il Tar aveva dato loro torto.
Giustizia, quanto ci costi? La parola alle famiglie
Ma quanto costa tutto questo, in termini economici e non solo? Lo abbiamo chiesto ad alcuni genitori caregiver, che con avvocati e tribunali hanno avuto spesso a che fare. Come Marina Cometto, torinese, mamma e caregiver di Claudia, donna con gravissima disabilità dovuta alla sindrome di Rett: “La prima volta che ho fatto ricorso – ci racconta – è stata quando la Asl si era rifiutata di autorizzare un letto elettrico extratariffario per mia figlia, adulta e assistita da noi genitori che stavamo diventando anziani e avevamo bisogno di maggiore aiuto nel gestirla. Nonostante ben due relazioni mediche specialistiche che ne motivavano la necessità, la Asl ci negava questo ausilio: così ci siamo rivolti a un avvocato competente in materia e con una grande carica umana: il giudice ordinario ha ascoltato sia noi che il referente della Asl e ha ritenuto che le nostre richieste dovessero essere accolte. Così la Asl ha pagato non solo il letto, ma anche la parcella del mio avvocato: possiamo dire che tutta la collettività ha sborsato soldi per un’inspiegabile impuntatura della Asl”.
Con il suo secondo ricorso Marina Cometto, in questo caso tramite Giudice di Pace, chiedeva “il rimborso di quanto speso per tre anni consecutivi di viaggio e soggiorno del secondo accompagnatore per portare Claudia in Toscana, per un ricovero in una struttura sanitaria riconosciuta Centro di riferimento per la sua malattia, che nella nostra regione non esiste. Il Giudice ha condannato la Regione al rimborso di quanto avevamo speso e della parcella del mio avvocato: di nuovo, denaro dei contribuenti sprecato. Se non fosse stato negato l’ovvio , avremmo risparmiato tempo e tanto denaro pubblico”. Di tempo e di energie, quindi, Marina Cometto ne ha investiti tanti, ma alme non non ha avuto spese, diversamente da quanto capita ad altre famiglie: “So che ci sono legali che chiedono – e possono farlo – acconti sulle future prestazioni: tante famiglie per questo si spaventa e non cercano un avvocato che non chieda soldi prima. Parliamo di famiglie spesso in difficoltà economiche, visto che la disabilità nella maggior parte dei casi permette solo a uno dei due di conservare il lavoro e lo stipendio”. E così, i ricorsi sono meno di quelli che potrebbero essere. E legittime rivendicazioni vengono soffocate dalla paura o dall’impossibilità di imbarcarsi in tali imprese.
Ausili, assistenza, scuola: dal diritto al ricorso
Ausili e assistenza sanitaria sono due delle ragioni più frequenti dei ricorsi da parte delle famiglie con disabilità: “Che io sappia, i motivi principali per cui genitori come noi si rivolgono ai tribunali hanno a che fare con la negazione di ausili e servizi di riabilitazione. Oppure con l’assistenza domiciliare, come sta accadendo a noi in questo momento: ci sono situazioni che richiedono assistenza infermieristica domiciliare per molte ore al giorno e della notte, ma per ottenere quanto spetta è spesso indispensabile il ricorso, perché quanto riconosciuto è sempre inferiore rispetto a quanto ritenuto e certificato come necessario”.
E poi c’è la scuola, con il ministero dell’Istruzione che spesso viene chiamato in causa per le ore di sostegno assegnate. E nella maggior parte dei casi soccombe. “Sono tanti i ricorsi per l’istruzione negata ai bambini disabili – ci racconta Cometto – Per le ore di sostegno insufficienti, il ricorso da parte delle famiglie è ormai quasi una prassi. E poi ci sono i problemi legati all’assistenza: mancano gli operatori che dovrebbero aiutare i bambini e i ragazzi a comunicare, ma anche a cambiarsi e mangiare: spesso sono gli stessi genitori che devono supplire. Solo alcuni ricorrono al tribunale, per veder riconosciuto al figlio ciò che gli spetta di diritto: ma i costi sono elevati, anche solo per avviare l’iter. Un ricorso al Tar costa dai 3 mila ai 5 mila euro, a seconda dell’avvocato a cui ci si rivolge, ma già le spese vive ammontano a circa mille euro. Quasi sempre vincono, questi genitori, perché quello che chiedono è previsto dalla legge”.
Il ruolo delle associazioni
A sostenere i genitori che decidono di intraprendere questo faticoso cammino, ci sono spesso le associazioni: tante hanno un consulente o uno sportello legale, dedicato proprio a guidare e assistere queste famiglie. Queste “dovrebbero però essere aiutate anche economicamente a gestire queste mancanze da parte degli enti pubblici. Purtroppo cosi non è – riferisce Cometto – e molte famiglie rinunciano ai loro diritti, non avendo la determinazione e la tenacia che servono per seguire le prassi, raccogliere documentazione, inoltrare richieste scritte e pretendere pure risposte scritte, attendere le convocazioni ecc. Spesso ci vogliono mesi, a seconda delle richieste ci sono tempi anche lunghi da mettere in conto. Credo sia però necessario e importate che le famiglie acquisiscano e rafforzino il senso del diritto e non subiscano più passivamente i soprusi, ma li combattano con forza, nonostante l’impegno e la fatica dell’assistenza, che a volte ci lascia stremati”. (cl)
Fonte Redattore Sociale

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