Fase 2, la scuola? “Cruciale come le attività produttive per la ripresa del paese”

L’Alleanza per l’infanzia lancia un appello al Governo affinché sostenga il reddito delle famiglie, metta i genitori in condizione di poter lavorare e valorizzi il ruolo del sistema scolastico. Saraceno: “Il rischio è che i servizi educativi non saranno più presenti al momento della ripresa, riducendo ulteriormente un’offerta già insufficiente”.
“È necessario riaprire i servizi educativi prima dell’estate, con chiari protocolli che garantiscano la sicurezza: la questione riguarda i diritti educativi e relazionali dei bambini e dei ragazzi, ma anche le possibilità dei loro genitori di tornare a lavorare. Se ciò non avverrà, oltre a mettere in difficoltà bambini e famiglie, c’è il rischio concreto che molti di questi servizi non saranno più presenti al momento della ripresa, riducendo ulteriormente un’offerta già largamente insufficiente. È stupefacente che questi temi non siano stati da subito prioritari nell’agenda politica”. La sociologa Chiara Saraceno commenta così l’appello lanciato dall’Alleanza per l’infanzia, di cui è portavoce, una rete nazionale di organizzazioni e studiosi impegnati nella tutela dei diritti dei bambini. Le richieste al Governo sono molto semplici: sostenere il reddito delle famiglie, mettere i genitori in condizione di poter lavorare e valorizzare il ruolo del sistema educativo e di istruzione.
Nel procedere nella fase 2, con la progressiva riapertura delle attività produttive, secondo l’Alleanza sono tre i temi cruciali da affrontare: i bisogni educativi e di socialità dei ragazzi, i problemi di conciliazione tra famiglia e lavoro per i genitori e il rischio di impoverimento dell’offerta di servizi educativi per la prima infanzia. “Durante il lockdown c’è stata una grave sottovalutazione dei danni della chiusura delle scuole sul piano educativo – afferma Saraceno –. I problemi sono stati tanti: non tutti i ragazzi sono in grado di accedere alla didattica online, i bambini più piccoli fanno più fatica, e poi è mancata tutta una dimensione relazionale di socialità, dal momento che i ragazzi hanno bisogno di stimoli educativi anche al di fuori della famiglia. La questione di come riprendere la scuola è assolutamente prioritaria e non può essere semplicemente rimandata a settembre: in mezzo ci sono tanti mesi di vuoto”.
E poi c’è la questione dei genitori di figli minorenni, in particolare sotto i 14 anni, che dovranno cercare di gestire contemporaneamente la routine della famiglia e il lavoro: “Non si possono riprendere le attività produttive senza porci il problema di cosa succederà ai bambini e ai ragazzi che non sono in grado di badare a se stessi – continua Saraceno –. Cosa faranno le madri? Il rischio è quello di minare l’occupazione femminile, oppure che i bambini vengano lasciati a se stessi, trovando soluzioni di comodo e poco appropriate, come quella di affidarli a babysitter poco qualificate. La verità è che l’organizzazione della famiglia e l’organizzazione del lavoro sono strettamente intrecciate: non si può pensare di riorganizzare una senza considerare anche l’altra”.
Infine c’è il problema della tenuta dei servizi educativi per la prima infanzia, messi a dura prova da questa prolungata chiusura. Visti i danni economici e l’incertezza sul futuro, non è detto che i nidi e altri servizi del terzo settore riescano a sopravvivere fino alla riapertura, soprattutto per quanto riguarda il privato sociale. “Il timore è che questi servizi vengano ridotti in maniera evidente, o che si torni a una visione assistenziale, senza alcuna prospettiva di lungo periodo – conclude Saraceno –. Bisogna cominciare da subito a ripensare al sistema scuola, non solo in termini logistici e architettonici, ma anche di didattica: occorre un protocollo nazionale, declinato poi a livello locale, che pensi a come non perdere il contatto con tanti bambini. È emblematico che ad oggi, prendendo in considerazione solo 8 scuole della città di Torino, almeno 160 ragazzi non hanno più contatti con i professori, un numero molto alto in così pochi mesi. Questo è un problema drammatico, che mette a rischio il diritto all’istruzione, soprattutto nelle fasce più svantaggiate della popolazione”.
Fonte Redattore Sociale

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