Con la sentenza n. 4147 del 20 febbraio, la Cassazione é tornata a esprimersi sulle associazioni sportive dilettantistiche.
Queste organizzazioni costituiscono una specie del più ampio genere che comprende gli enti non commerciali e sono destinatarie di un particolare regime tributario di favore, in presenza di condizioni espressamente indicate dalla legge.
Infatti, il comma 3, dell’articolo 148 del Tuir (ex articolo 111), esclude esplicitamente la commerciabilità e, quindi, la tassazione delle attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali effettuate verso pagamento di corrispettivo nei confronti degli associati.
L’esclusione della commerciabilità per le attività rivolte agli iscritti, e non al mercato, va letta in relazione al fine delle associazioni, che dovrebbe essere la divisione dei costi comuni e non la realizzazione di profitto. Il successivo comma 8 dello stesso articolo subordina tale esclusione al fatto che le associazioni inseriscano nelle proprie clausole statutarie determinate condizioni.
Non di rado, però, dietro strutture “formalmente” senza scopo di lucro, si nascondono veri e propri ristoranti, discoteche, palestre, eccetera.
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 4147 del 20 febbraio 2013, conferma che, ai fini del trattamento agevolato, non é sufficiente la sussistenza dei meri requisisti formali, ma é necessario che l’attività si svolga in concreto nel pieno rispetto delle prescrizioni contenute nelle clausole stesse del regime di favore.
La sentenza in pillole
L’Amministrazione contestava a un’associazione sportiva di esercitare, al di là dell’oggetto sociale emergente dall’atto costituivo, in modo pressoché esclusivo e con fine di lucro, un’attività commerciale (gestione di palestra) dietro pagamento di corrispettivi specifici.
Il conseguente avviso di accertamento veniva da prima annullato dalla Commissione tributaria provinciale e poi confermato dalla Ctr, che accoglieva l’appello dell’ufficio.
Sul ricorso del contribuente, la Corte di Cassazione, in conformità ai propri precedenti, ribadisce in maniera piuttosto netta due principi:
• gli enti di tipo associativo possono godere del trattamento agevolato previsto dal Dpr 917/1986, articolo 111 (ora articolo 148), e dal Dpr 633/1972, articolo 4, come modificato, con evidenti finalità antielusiva, dal Dlgs 460/1991, articolo 5, a condizione non solo dell’inserimento nei loro atti costituitivi e negli statuti di tutte le clausole dettagliatamente indicate nell’articolo 5 del Dlgs 460, ma anche dall’accertamento in concreto che la loro attività si svolga, materialmente, nel pieno rispetto delle prescrizioni contenute nelle clausole stesse. Non é affatto sufficiente, secondo la Corte, al fine della fruizione del trattamento tributario di favore, né la mera appartenenza alla categoria delle associazioni in questione né la conformità dello statuto alle norme stabilite per il riconoscimento della relativa qualifica (Cassazione, sentenze 11456/2010, 16032/2005 e 15321/2002)
• sul piano della prova, l’articolo 111 del Tuir (ora articolo 148) costituisce deroga, per gli enti non commerciali di tipo associativo, alla disciplina generale secondo cui l’Irpeg (ora Ires) si applica a tutti i redditi in denaro o in natura, posseduti da soggetti diversi dalla persone fisiche. Conseguentemente, l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano l’agevolazione Irpeg (ora Ires), nonché Iva, é a carico del soggetto collettivo che la invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall’articolo 2697 del codice civile (Cassazione, sentenze 16032/2005 e 22598/2006).
Osservazioni
La Corte di cassazione conferma il proprio orientamento secondo cui, per la spettanza del regime di favore, occorre considerare la sostanza dell’attività esercitata in concreto dall’associazione e non alla forma. In tal senso, si segnala che, proprio valorizzando al massimo tale principio, la Corte, in un altro precedente, ha statuito che, per poter godere del (diverso) trattamento agevolato previsto dalla legge 398/1991, l’associazione sportiva non deve essere necessariamente iscritta al Coni o a una federazione affiliata, “dovendosi ritenere sufficiente il concreto svolgimento di attività sportive senza scopo di lucro”, potendo, se del caso, l’affiliazione “costituire indice emblematico dello svolgimento della attività” (Cassazione 17119/2003).
In ogni caso, al di là dei principi di diritto espressi, la sentenza segnalata fornisce un’interessante lista di elementi di riferimento e che, valutati “complessivamente e non isolatamente”, hanno portato la Corte a escludere la natura associativa dell’ente.
Infatti, secondo la Corte, il carattere commerciale della palestra é desumibile da elementi indiziari quali: la pubblicità effettuata mediante biglietti e stampati; i vari corsi di danza, ginnastica e arti marziali; i corrispettivi versati dagli associati in misura variabile al tipo di prestazione richiesta in contrasto con le previsioni statutarie relative alla quota di iscrizione; l’ampiezza dei locali adibiti a palestra con relative attrezzature; la composizione del fondo associativo e la distribuzione delle cariche sociali, riferibili soltanto a due famiglie; l’automatica rinomina degli organi direttivi nell’ambito ristretto dei soci fondatori; l’automatica esclusione dei soci in caso di mancato versamento della quota associativa.