Trent’anni fa veniva approvata la legge quadro sul volontariato. Fu un momento di svolta per il nostro Paese che, oggi, per ripartire ha bisogno di sostenere e favorire quelle reti di solidarietà. «Il volontariato è portatore di nuovo concetto di cittadinanza fondato sulla promozione delle capacità dei più fragili e su logiche di prossimità» spiega l’ex Ministro della Salute, che fu protagonista dell’approvazione della legge 266 del 1991 e oggi aderisce all’appello per il riconoscimento del volontariato come patrimonio dell’umanità.
Già Ministro della Salute, oggi a capo del gruppo di esperti nominati dal Minsitro Orlando, gruppo che affronterà il tema degli “Interventi sociali e politiche per la non autosufficienza” svolgerà attività di esame e approfondimento, “propedeutiche alla stesura del Piano sociale nazionale, nonché alla definizione del Piano per la non autosufficienza” per il triennio 2022-2024, Livia Turco è un’attenta osservatrice del Terzo settore.
Il suo contributo fu determinante, trent’anni fa, per arrivare alla legge n. 266, Una legge fondamentale, perché vi si riconosceva (art.1) «il valore sociale e la funzione dell’attività di volontariato come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo». Proprio al volontariato – e all’appello lanciato affinché l’Unesco lo riconosca patrimonio immateriale dell’umanità – è dedicato il numero di luglio-agosto di Vita.
Che cosa resta, oggi, della legge 266 del 1991?
Resta tutto. Resta lo spirito, ma resta anche l’idea-guida che il volontariato debba partecipare alla coprogettazione delle politiche sociali. La legge 266 fu il primo passo per un inquadramento del volontariato dal punto di vista legislativo, oggi si è arrivati alla riforma organica del Terzo settore. Un riforma che, al contrario della 266, ha suscitato qualche malumore e critica, ma questo dibattito ha sempre attraversato il volontariato. Un dibattito che parte da una questione di fondo: come mantenere la propria genuinità e la propria vocazione di azione gratuita per l’altro, anche nel rapporto con le istituzioni.
La 266 fu importante per il riconoscimento del volontariato. Ma riconoscimento vuol dire tante cose: formazione del volontariato, volontariato che partecipa alla discussione, volontariato riconosciuto come interlocutore delle istituzione. Lo sforzo importante di quella legge fu quello di riconoscere la funzione del volontariato fuori da ogni uso strumentale da parte delle istituzioni.
“Il volontariato andava e va valorizzato dalle istituzioni, non usato per supplire alle inadempienze delle stesse istituzioni”. Livia Turco
“Il volontariato andava e va valorizzato dalle istituzioni, non usato per supplire alle inadempienze delle stesse istituzioni”. Livia Turco
La 266 fu importante anche nelle modalità di partenza: convocare il mondo del volontariato ai tavoli, per discutere, pensare insieme, ragionare di presente e di futuro. Una pratica di condivisione che ha dato i propri frutti…
La 266, ricordiamolo sempre, fu voluta fortemente dal Ministro di allora, Rosa Russo Jervolino. Bisogna ricordarci di lei. La sua firma, d’altronde, è sulla legge.
Ci furono altre donne…
Mettiamola così: fu una grande prova di leadership femminile. Non a parole, ma nei fatti. Un esempio di lavoro condiviso su tutti i livelli. Fu composto da donne il gruppo parlamentare che sostene la legge, donna il Ministro, donne le ispiratrici…
A tre decenni di distanza, cosa possiamo aggiungere sugli effetti della legge?
Il volontariato è stato generatore, moltiplicatore, oltre che disseminatore di azioni di solidarietà efficace. Ha arricchito il Paese, ma ha arricchito anche le istituzioni. Da un lato, le istituzioni si sono avvalse di una competenza e di un sapere di cui il volontariato era portatore. Dall’altro, la 266 ha arricchito il volontariato consentendogli di sviluppare la sua azione, avendo autorevolezza e visibilità nella società. Il volontariato ha potuto costruire reti.
Una delle funzioni fondamentali della 266 era proprio favorire le reti di volontariato…
La legge 266 è una legge lungimirante perché autenticamente rispettosa del volontariato nella sua vocazione e, al tempo stesso, è una legge che ha dato al volontariato la possibilità di crescere e di svilupparsi attraverso la formazione di reti. Tra l’altro, non dimentichiamoci del Centri di Servizio, che sono fondamentali: la legge ha favorito il radicamento territoriale, la formazione, la partecipazione e l’advocacy.
“La legge 266 del 1991 fu una grande azione di leadership femminile” Livia Turco
La pandemia ha mostrato che non possiamo prescindere da reti sempre più forti e strutturate di solidarietà… Questo, però, non deve andare in contrasto con quell’idealità di cui parlava e che è sempre, da sempre, la matrice del volontariato…
Se, durante la pandemia, non ci fosse stata la molla ideale del volontariato non avremmo avuto la forza di risollevarci. Il volontariato è stato prezioso perché ha aiutato le istituzioni nel momento di massimo pericolo, ma non si è limitato a questo. Ha lanciato un messaggio di umanità straordinario. Lo ha lanciato al mondo e credo sia questa la forza del volontariato.
Durante la pandemia, il volontariato ha mostrato la forza dell’azione concreta ma non si è fermato lì. ha lanciato un messaggio di fratellanza universale. Avremo sempre più bisogno di volontariato, per costruire una società più equa, di sorelle e fratelli e non di nemici. La pandemia ha messo in risalto una dimensione antropologica profonda: l’essere umano è fragile e può costruire la propria forza solo in relazione con l’altro. Ma per costruire questa forza in relazione deve costruire una diversa umanità.
Un nuovo umanesimo?
Esattamente questo: un nuovo umanesimo che contribuisca a un’elaborazione positiva della nostra fragilità. In questo, l’azione gratuita e positiva per l’altro del volontariato è un punto fondamentale per superare l’onnipotenza dell’io che è stata la vera maledizione degli ultimi trent’anni. Una presunta onnipotenza naufragata davanti a un virus oscuro… Dobbiamo ripartire dalle radici e dalle fondamenta.
Che cosa significa, fuor di retorica, ripartire dalle fondamenta?
Significa tornare all’umano. Il volontariato deve dare il suo contributo, perché è una voce fortissima nella costruzione di una nuova dimensione umana. Per questo il volontariato va sostenuto, ascoltato, agevolato. Credo poi che il prendersi cura dell’altro sia una dimensione ineludibile della nuova cittadinanza: le nostre società stanno cambiando, il lavoro sta cambiando, la dignità è sotto scacco. Serve una nuova cittadinanza basata sul volontariato.
Promuovere una dimensione civica della cittadinanza che cosa significa?
Significa che c’è un diritto-dovere alle pluriattività, al di là del tempo di lavoro. L’impegno solidale deve essere considerato una dimensione stessa della cittadinanza, non un “di più”. Il volontariato ci insegna l’importanza dell’incontro con la prossimità.
Non a caso, “prossimità” è una parola fondante del welfare…
Credo in un welfare che faccia emergere le capacità delle persone, anche le più fragili. Ma per farlo bisogna essere, come dice Papa Francesco, «poeti sociali».
Il Papa dice anche che non servono politiche per i poveri, servono politiche con i poveri…
Che cosa fa il volontariato se non stare “con”? Il volontariato non si limita ad aiutare, ma aiuta a far emergere le capacità delle persone più fragili. Come mi insegnavano le mamme di tanti disabili: «vorremmo che i nostri figli potessero dare il loro contributo alla comunità». La capacità è questa possibilità, data e raccolta, di poter dare il proprio contributo. Ma serve, per questo, un sistema di riconoscimento dell’altro che, nell’altro, veda non un utente, ma una persona. Una persona capace di relazione, di amore, di contributo. Il volontariato ha in sé questa chiave, il suo compito è aprire porte che per troppi anni sono rimaste chiuse. di Marco Dotti
fonte: www.vita.it
In copertina: foto Agenzia Sintesi