L’intervento del tributarista e segretario generale di Terzjus: “Sul tema incombe una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea ai danni dell’Italia e trovare una soluzione rapida e coerente è quindi di fondamentale importanza. Quale strada seguire dunque? Potrebbe aiutare l’impostazione seguita dalla riforma del terzo settore che considera fiscalmente “non commerciali” le attività istituzionali svolte senza l’effettivo conseguimento di un utile.
Per le attività degli enti associativi torna lo spettro dell’IVA. Legittima la preoccupazione delle associazioni per l’impatto della nuova disciplina e le possibili conseguenze sulla gestione operativa delle attività svolte. A questo punto diventa necessario fare chiarezza su chi è realmente interessato da questa modifica e con quali conseguenze, ed è giunto soprattutto il tempo di avanzare proposte per trovare una soluzione definitiva al problema.
Iniziamo a capire da dove nasce la preoccupazione degli enti non profit.
Il Senato ha approvato un emendamento contenuto nel decreto collegato alla legge di bilancio che abroga le disposizioni (contenute all’art. 4 del decreto 633 del 1972) che finora avevano tenuto indenni dall’IVA e dai relativi adempimenti tutta una serie di entrate molto importanti per gli enti associativi. Parliamo, ad esempio, dei corrispettivi specifici e quote supplementari versati da soci, associati o partecipanti a fronte di cessione di beni o prestazioni di servizi in conformità allo statuto oppure in occasione di manifestazioni propagandistiche. A queste possiamo aggiungere purtroppo anche la somministrazione di alimenti o bevande tipicamente svolte dalle realtà associative presso le proprie sedi (pensiamo al servizio bar). È piuttosto comprensibile che questo intervento spaventi il mondo non profit. È infatti normale che quando si parla di tasse, specie quando se ne aggiungono di nuove o subentrano nuovi adempimenti, vi sia una certa agitazione e preoccupazione in particolare da parte degli enti più piccoli che sono abituati a fare i conti con poche entrate e con l’operatività di tutti i giorni resa ancora più difficile dalla pandemia. Per questa ragione continuare a chiedere di eliminare questo intervento normativo senza proporre soluzioni alternative significa semplicemente mettere la testa sotto la sabbia senza risolvere il problema alla radice. Su questo tema incombe, infatti, una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea ai danni dell’Italia e trovare una soluzione rapida e coerente è di fondamentale importanza. Questo per evitare di ritrovarsi, puntuali come un orologio svizzero, ad aprire la stessa discussione ad ogni legge di bilancio o altro veicolo normativo.
Occorre dunque fornire una risposta alla procedura di infrazione che metta al centro il coinvolgimento degli enti non profit e delle amministrazioni che stanno seguendo da vicino l’evoluzione del terzo settore. Bisogna evitare soluzioni calate dall’alto senza un dialogo preventivo.
È chiaro che la norma così come approvata dal Senato si presta a diverse obiezioni e criticità anche perché finisce con il colpire gli enti senza distinguere in base alle attività e al tipo di entrate, probabilmente, in alcuni casi, andando oltre gli obiettivi indicati dalla procedura di infrazione UE. Allo stesso tempo l’emendamento non tiene conto di un periodo transitorio per consentire ai soggetti coinvolti di prendere le misure con le novità legislative, a cominciare dall’apertura della partita Iva qualora non ne fossero già provvisti.
A questo punto due sono gli obiettivi principali che si presenteranno a seguito della definitiva approvazione della norma: chiarire quale potrebbe essere l’effettivo impatto della modifica del regime IVA superando alcuni tra gli equivoci piu diffusi e, nel contempo, capire quali sono i margini per rivedere la decisione legislativa.
Ma andiamo con ordine e proviamo a fare qualche prima riflessione partendo dalle domande più frequenti ricevute dopo la notizia dell’approvazione della modifica IVA.
Perché per la seconda volta viene riproposta una norma sull’IVA degli enti associativi che finora ne erano esentati?
La ragione è che esiste a carico dell’Italia una Procedura d’infrazione (più precisamente la n. 2008/2010) per violazione degli obblighi imposti dagli artt. 2, 9 della direttiva IVA (2006/112/CE), relativamente alle operazioni escluse dal campo di applicazione dell’IVA. Si tratta di una procedura a fronte della quale l’Italia è obbligata a fornire un riscontro modificando la norma incriminata (art. 4 del decreto IVA). Più precisamente la procedura riguarda “le cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate da alcune associazioni di interesse pubblico a favore dei soci, associati e partecipanti nonché delle cessioni di beni e prestazioni di servizi prestati ai membri di organismi senza fini di lucro”. L’obiettivo delle procedure di infrazione, in sostanza, è la tutela del mercato e della concorrenza a fronte della quale la commissione UE chiede di attrarre in campo IVA le operazioni sopra citate che oggi sono escluse sia dal tributo che dai relativi adempimenti. Tuttavia va detto che non tutte le operazioni che verranno colpite dalla nuova norma IVA hanno natura economica e, dunque, non tutte si pongono in possibile concorrenza sul mercato. Questo è un aspetto da cui partire per immaginare possibili proposte di modifica facendo chiarezza sulla tipologia di attività svolta.
Quale l’effetto derivante dalla nuova norma e cosa cambia per gli enti non profit?
Il primo effetto, come detto, è che la norma attrae in campo IVA operazioni che prima erano considerate escluse dal tributo. Si tratta, ad esempio, dei classici corrispettivi specifici o delle quote supplementari versate dagli associati o dai partecipanti per fruire di servizi (quote di iscrizione ad un corso, somministrazione di alimenti e bevande, vendita di beni etc..). Dal punto di vista del pagamento del tributo non cambierà nulla e l’IVA sulle prestazioni sopra indicate continuerà a non essere dovuta. Tuttavia, attenzione alla terminologia tecnica perché è spesso fonte di equivoci. Con la modifica introdotta i c.d. corrispettivi specifici, ai fini IVA, non sono più considerati “esclusi” ma “esenti”. Questo vuol dire che pur non versando il tributo gli enti si dovranno dotare (probabilmente dal 1 gennaio prossimo) di una partita IVA. Particolare attenzione dovrà essere prestata dalle APS riconosciute dal Ministero dell’interno che svolgono attività di somministrazione di alimenti e bevande. Con la modifica introdotta le relative entrate diventeranno imponibili ai fini IVA e richiederanno, dunque, l’effettivo pagamento del tributo, fatta eccezione per le ipotesi in cui il servizio è reso verso indigenti (si tratterebbe in tal caso di prestazioni esenti). Questo effetto potrà essere evitato solo se l’APS presenta ricavi inferiori a 65 mila euro. In tale circostanza le operazioni resteranno fuori campo IVA senza alcuna modifica rispetto al regime attuale.
Nonostante la modifica non comporterà il pagamento dell’IVA ci saranno comunque dei nuovi adempimenti a carico degli enti non profit?
Il vero adempimento sarà quello, come detto, dell’obbligo di aprire una partita IVA per gli enti che ancora non ne sono provvisti. Gli enti non profit invece potranno evitare tutti gli altri classici adempimenti IVA. Pensiamo alla fatturazione e alla registrazione cui si aggiunge anche la dichiarazione IVA per gli enti che hanno solo questo tipo di entrate considerate esenti. Va detto, tuttavia, che la fatturazione potrebbe scattare solo se espressamente richiesta da chi riceve il servizio. Anche in tal caso resta, comunque, la dispensa dalla relativa registrazione.
Cosa ha a che fare questa norma con le disposizioni fiscali della riforma del terzo settore e come inciderà il nuovo trattamento iva sugli enti iscritti nel RUNTS?
Questa norma non rientra decreti di riforma del terzo settore, trattandosi di una disposizione contenuta nel decreto IVA (Dpr 633 del 1973). Anzi diciamo chiaramente che per le associazioni di promozione sociale e le Organizzazioni di volontariato che risulteranno iscritte nelle rispettive sezioni (APS e ODV) del nuovo Registro Unico del Terzo Settore (RUNTS) non cambierà nulla. In particolare, questo tipo di enti, fino a 65 mila euro di entrate derivanti da corrispettivi specifici o quote supplementari, potranno continuare a considerare fuori campo IVA tutte le entrate oggetto della revisione normativa. La soglia indicata consentirà in sostanza di tenere indenni da qualsiasi effetto peggiorativo ai fini IVA la stragrande maggioranza dei piccoli enti che assumeranno la qualifica di ente del terzo settore iscrivendosi nel registro. Potranno beneficiare di questo trattamento anche le associazioni sportive ma solo se hanno assunto o assumeranno anche la qualifica di APS. Pensiamo alle tante realtà sportive affiliate agli enti di promozione sportiva che in questo periodo stanno modificando il proprio statuto ai fini dell’iscrizione nel RUNTS.
Per gli enti del terzo settore occorre inoltre considerare che questo beneficio potrebbe addirittura aumentare. L’emendamento approvato dal Senato, infatti, specifica che dopo il vaglio UE previsto per le nuove misure fiscali contenute nel codice del terzo settore, ODV e APS potranno applicare il nuovo regime fiscale di vantaggio con possibilità di beneficiare di una soglia di esclusione da IVA ancora più alta (fino a 130 mila euro di entrate commerciali). Una riflessione a questo punto è d’obbligo. La problematica IVA riemersa con il collegato alla legge di bilancio testimonia ancora una volta, semmai ve ne fosse bisogno, che la richiesta di un preventivo vaglio UE sulle nuove misure fiscali voluto dalla legge delega per la riforma del terzo settore va nella direzione giusta. Che è quella di dare certezza giuridica e fiscale agli enti evitando di abbandonare alla lotteria delle procedure di infrazione della UE le realtà non profit che, al contrario, meritano di essere tutelate con regole più stabili. Un motivo in più, per chi non lo avesse ancora fatto, per guardare con interesse al nuovo registro del terzo settore attivo dal 23 novembre scorso.
Quali gli aspetti della norma che potranno essere rivisti e cosa proporre?
Parliamoci chiaro. La norma è approdata sui tavoli degli enti senza una previa condivisione. È vero che prende le mosse da una procedura di infrazione e che la risposta alla UE è obbligatoria. Ma è altrettanto vero che i lavori di produzione normativa avrebbero potuto essere condivisi per tempo con gli enti non profit e soprattutto con le istituzioni impegnate nell’ opera di riordino delle regole del terzo settore. Si sarebbe, ad esempio, potuto conciliare prima di tutto l’entrata in vigore delle novità in tema di IVA consentendo l’ultimazione delle procedure di ingresso nel registro del terzo settore da parte degli enti, magari facendo decorrere le modifiche IVA dal 1° gennaio del 2023. Il differimento potrebbe consentire, peraltro, di attivare un confronto costruttivo sulle effettive modifiche da apportare al regime IVA assegnando un margine di tempo utile per rintracciare una soluzione condivisa.
Vi sono poi delle considerazioni di merito da fare. Leggendo l’emendamento si nota che la tecnica utilizzata dal legislatore è quella di un semplice “travaso” della medesima formula letterale dal campo delle operazioni escluse (art. 4 del decreto IVA) a quello delle operazioni esenti (art. 10 del decreto IVA). Probabilmente cambiando gli effetti sostanziali legati al tributo indiretto ci si sarebbe aspettati l’inserimento di qualche chiarimento in più. Ad esempio, per far rientrare nel campo IVA i corrispettivi specifici o le quote supplementari ricevute dagli enti associativi per perseguire gli scopi istituzionali vi dovrebbe essere una attività finalizzata, potenzialmente o concretamente, alla produzione di un utile. Ragionando diversamente, si andrebbe quindi oltre l’obiettivo della procedura di infrazione e della stessa Direttiva di cui si contesta la violazione. Non è sufficiente, infatti, che l’ente riceva un corrispettivo dai propri soci, associati, partecipanti e tesserati per lo svolgimento di un servizio. Anche perché si dovrebbe verificare se le relative entrate istituzionali siano in grado di coprire i costi.
In questo senso potrebbe aiutare l’impostazione seguita dalla riforma del terzo settore che considera fiscalmente “non commerciali” le attività istituzionali svolte senza l’effettivo conseguimento di un utile. Insomma potrebbe essere questa una chiave di lettura su cui riflettere per modificare l’impostazione seguita dalle nuove norme in coerenza con i cambiamenti legislativi introdotti per il terzo settore. Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che gli enti del terzo settore vanno tutelati non solo perché costituiscono un modello di coesione sociale ma anche perché rappresentano il cuore pulsante per lo sviluppo del sistema economico del Paese. di Gabriele Sepio
Fonte: www.vita.it