La sociologa olandese ha presentato in anteprima il suo nuovo libro “Espulsioni. Brutalità e complessità nell’economia globale” nella prima giornata del Salone dell’Editoria Sociale. “Oltre un certo limite la disuguaglianza è inaccettabile, senza ritorno”.
ROMA – Sala stracolma per la lectio magistralis di Saskia Sassen, sociologa alla Columbia University di New York, che ha presentato in anteprima il suo nuovo libro “Espulsioni. Brutalità e complessità nell’economia globale” (Il Mulino): la settima edizione del Salone dell’Editoria Sociale, “Gioventù bruciata”, è iniziata con l’appuntamento attesissimo con una delle più importanti studiose dei fenomeni socio-economici, intervistata dal giornalista Giuliano Battiston.
“È un libro molto ambizioso – spiega Battiston, introducendo la studiosa -, che analizza la nuova geografia del potere, nella sua storia e nelle sue pratiche, e lo fa con un metodo poco ortodosso, attraverso la decomposizione dell’economia politica del ventesimo secolo, per vedere cosa rimane, quali sono i processi opachi, sotterranei”. “Alcune categorie analitiche sono utili per gli economisti, ma non aiutano a capire le situazioni estreme, su cui mi focalizzo in questo libro, in un percorso eccentrico”, risponde Sassen, parlando un ottimo italiano inframezzato da parole spagnole e termini inglesi, in un monologo ricchissimo di spunti e battute. Prende ad esempio il concetto di disuguaglianza, che porta con sé quello di distribuzione: “Ma è un concetto che ha dei limiti – continua -, non parlo della ‘social exclusion’, che può essere combattuta e cambiata attraverso leggi e cultura, ma di quella parte invisibile, estrema, esclusa. Oltre un certo limite la disuguaglianza è inaccettabile, senza ritorno. La storia ci racconta dei miglioramenti, ma è una verità molto parziale, che ci dissuade dal guardare cosa rimane fuori. A me interessa il margine”. Dall’impoverimento delle classi medie, al landgrabbing, fino alla distruzione della natura da parte di un’economia senza scrupoli, secondo la studiosa sono segni di uno stesso processo in atto, che dall’economia inclusiva del dopoguerra sta portando a una logica di espulsione. Porta ad esempio la riduzione del lago di Aral, o la riduzione del ghiaccio in Groenlandia. “Abbiamo ucciso molta vita, e lasciato terre e acque morte, che escono dalla nostra visuale. Oggi ci sono 40 paesi in guerra. Abbiamo bisogno di trovare nuovi termini per raccontare una storia nuova, utilizziamo ancora il linguaggio di migranti e rifugiati. Ma con queste parole si indicava chi è alla ricerca di una vita migliore (better life), mentre qui intendiamo chi cerca semplicemente di sopravvivere (bare life). Stiamo distruggendo attivamente habitat a cui le persone non possono più tornare”.
“La macchina a vapore della nostra epoca è la finanza, che dà un nuovo ordinamento, e decide cosa è dentro e cosa è fuori. Non le banche, di cui abbiamo bisogno tutti, che vendono ciò che hanno, il denaro: vende ciò che non ha per invadere in modo distruttivo, è un pericolo. Il profitto aumenta esponenzialmente con il pericolo, e la finanza trae profitto anche dai più marginali, dagli studenti indebitati, dagli espropri, con tabelle di numeri che non mostrano le persone. È la capacità di un sistema di rendere invisibile. Le tendenze profonde degli ultimi 30 anni stanno ora emergendo”. Mostra dati sulla continua crescita del capitale, appena sfiorato dalla crisi del 2008, mentre il 65% dei posti di lavoro della classe media è scomparso. Spiega come, dopo il periodo della ‘gentrificazione’, gli investimenti stanno disurbanizzando le città. “La città è un processo complesso e incompleto, il nuovo spazio di frontiera dove si incontrano soggetti che non hanno regole condivise, chi ha e chi è escluso dal potere”.
Una delle strade per contestare questa espulsione, secondo la sociologa olandese, è lavorare su piccoli progetti di vicinato, “Non comunità, dico vicinato, persone che si conoscono, in un processo di sussidiarietà. Come cittadini abbiamo perso i nostri diritti”. (elena filicori)
Fonte Redattore Sociale