L’analisi del civilista esperto di legislazione del non profit: «Tra i vari interventi figurano correzioni di natura puramente formale ed integrazioni sostanziali di un certo rilievo». Vediamole
Due giorni fa, il 10 settembre 2018, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il c.d. decreto “correttivo” del Codice del terzo settore. È entrato in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione, apportando una serie di modifiche ed integrazioni al Codice. Almeno per ciò che riguarda la parte civilistico-sostanziale (cui le presenti note sono limitate), il decreto non stravolge il precedente assetto normativo, né del resto era questo che ci si poteva attendere da un atto chiamato a “correggere” la disciplina vigente, tenendo conto delle “evidenze attuative nel frattempo emerse”. Il testo, peraltro, riprende sostanzialmente quello già approvato in via preliminare dal precedente Consiglio dei Ministri in data 21 marzo 2018.
Tra i vari interventi effettuati dal “correttivo”, figurano correzioni di natura puramente formale ed integrazioni sostanziali di un certo rilievo. Esaminiamo di seguito quelle che ci sembrano essere le principali.
1) Parzialmente modificata risulta la definizione di ente del terzo settore di cui all’art. 4, comma 1, del Codice, poiché dopo le parole “mediante lo svolgimento” sono state aggiunte le parole “in via esclusiva o principale”. Si tratta, tuttavia, di una modifica a carattere puramente “estetico” e dunque priva di rilevanza sostanziale. Infatti, che lo svolgimento di attività di interesse generale dovesse e potesse avvenire “in via esclusiva o principale” risultava già dall’art. 5, comma 1, del Codice, diretto a specificare questo requisito identificativo della fattispecie dell’ente del terzo settore. Il legislatore ha dunque inteso fugare ogni dubbio sul fatto che, se da un lato l’esercizio di attività di interesse generale sicuramente connota gli enti del terzo settore, dall’altro lato, però, tale esercizio non necessariamente deve essere esclusivo, ma potrebbe anche essere soltanto “principale”. Gli enti del terzo settore, pertanto, sono autorizzati a svolgere (se anche il loro statuto lo consente) attività “diverse” da quelle di interesse generale, seppur nei limiti della “secondarietà” e “strumentalità” di cui è parola nell’art. 6 del Codice (e su cui si attende un decreto ministeriale che a questi qualificativi dovrà attribuire un contenuto più specifico).
2) Proprio all’elenco di attività di interesse generale, contenuto nell’art. 5, comma 1, del Codice, si riferisce il secondo intervento correttivo. La “tutela degli animali e la prevenzione del randagismo, ai sensi della legge 14 agosto 1991, n. 281” viene infatti inserita inclusa tra le attività di interesse generale esercitabili da un ente del terzo settore. Il legislatore non aggiunge un’ulteriore voce alle 26 già presenti, bensì inserisce questa attività di interesse generale nell’ambito della lettera e) dell’elenco di attività di interesse generale, dedicata alla tutela dell’ambiente. Pur non volendosi aggiungere un’autonoma voce, una collocazione più appropriata per questa attività di interesse generale si sarebbe forse potuta trovare, ad esempio in seno alla lettera w), essendo i diritti degli animali riconosciuti anche a livello normativo. La sostanza normativa tuttavia non cambia. E l’integrazione non può che essere valutata e salutata positivamente.
3) Varie modifiche riguardano l’articolo 13 del Codice, che prevede e disciplina gli obblighi di bilancio in capo agli enti del terzo settore. Si tratta di modifiche volte a rendere più evidente una sostanza normativa che già emergeva da un’attenta interpretazione del testo vigente, ciononostante utili al fine di evitare dibattiti superflui e di rendere ancor più certi agli operatori del terzo settore natura e contenuto dei loro obblighi di rendicontazione. Innanzitutto, al comma 1 dell’articolo in questione la parola “finanziario” è sostituita dalla parola “gestionale”, quasi a correggere un refuso presente nel Codice, poiché dalle indizioni che si dovevano fornire (proventi e oneri, ecc.) era sicuramente ad un “rendiconto gestionale” che già si doveva fare riferimento. Soppressa è poi al comma 2 – che regola il bilancio degli enti del terzo settore con entrate inferiori a 220.000 euro – la parola “finanziario”. È dunque il più semplice “rendiconto per cassa” che gli enti del terzo settore di dimensioni minori potranno redigere per soddisfare i loro obblighi di rendicontazione economica. Riformulato è infine il comma 6 dell’articolo 13, là dove indica il luogo nel quale gli amministratori devono documentare il carattere secondario e strumentale delle attività “diverse” di cui all’articolo 6. A seconda dei casi, e dunque della forma del bilancio di esercizio redatto dall’ente del terzo settore, tale luogo è la relazione di missione (nel caso di bilancio redatto ai sensi del comma 1 dell’articolo 13), l’annotazione in calce al rendiconto per cassa (nel caso di bilancio redatto ai sensi del comma 2 dell’articolo 13) o la nota integrativa al bilancio (nel caso di bilancio redatto ai sensi del comma 5 dell’articolo 13, che – ricordiamo – è il bilancio in forma societaria cui sono tenuti gli enti del terzo settore che esercitano la propria attività esclusivamente o principalmente in forma di impresa commerciale).
4) Al comma 5 dell’articolo 17 viene inserita una deroga. La regola per cui una persona non può essere contemporaneamente volontario e lavoratore retribuito nell’ambito del medesimo ente è derogata con riguardo agli operatori che prestano attività di soccorso per le organizzazioni di cui all’articolo 76 della legge provinciale 5 marzo 2001, n. 7, della Provincia autonoma di Bolzano e di cui all’articolo 55-bis della legge provinciale 19 luglio 1990, n. 23, della Provincia autonoma di Trento. Questa deroga apre forse una breccia nel principio di cui all’articolo 17, comma 5, e potrebbe condurre ad un suo ripensamento.
5) Sempre all’articolo 17 è stato inserito un comma 6-bis del seguente tenore: “I lavoratori subordinati che intendano svolgere attività di volontariato in un ente del Terzo settore hanno diritto di usufruire delle forme di flessibilità di orario di lavoro o delle turnazioni previste dai contratti o dagli accordi collettivi, compatibilmente con l’organizzazione aziendale”. Si recupera così una formula già presente nella legislazione previgente alla riforma, ma in un primo tempo ritenuta dal legislatore del Codice superflua, posto che il diritto ivi contemplato non dipende dalla disposizione normativa così come oggi introdotta dal “correttivo”, bensì, pur sempre, dai contratti o accordi collettivi che le forme di flessibilità o turnazioni prevedano.
6) Di enorme rilevanza sistematica ed impatto pratico è il comma 1-bis, inserito nell’articolo 22 sull’acquisto della personalità giuridica da parte di associazioni e fondazioni del terzo settore. Colma una lacuna del testo vigente, semplificando la vita a quegli enti già costituiti che aspirano a qualificarsi come enti del terzo settore. L’articolo 22, infatti, prevede una procedura particolare, semplificata e rapida (rispetto a quella ordinaria di cui al d.P.R. 361/2000), mediante la quale gli enti del terzo settore possono divenire persone giuridiche ed ottenere così il beneficio della responsabilità limitata di cui all’articolo 22, comma 7, del Codice. Tale procedura prevede l’intervento del notaio (per la redazione dell’atto costitutivo, il controllo di legalità dello statuto e l’iscrizione dell’ente nel registro unico nazionale del terzo settore) e la sussistenza di un patrimonio minimo di 15.000 euro (per le associazioni) e di 30.000 euro (per le fondazioni). Ebbene, il nuovo comma 1-bis consente anche agli enti con personalità giuridica (già ottenuta ai sensi del d.P.R. 361/2000) di iscriversi al registro unico mediante la procedura di cui all’art. 22. In tal modo, si sospende l’efficacia della loro iscrizione presso i registri delle persone giuridiche di prefetture e regioni, con la conseguenza che l’unica autorità di loro riferimento diviene quella che tiene il registro unico nazionale del terzo settore. A quest’ultima (e non alle prefetture) andranno ad esempio notificate le modifiche statutarie ai fini della loro approvazione. L’efficacia dell’iscrizione presso i registri delle persone giuridiche riprenderà vigore nel caso di cancellazione (per qualsiasi ragione) dell’ente dal registro unico nazionale del terzo settore.
7) All’articolo 30, comma 6, del Codice, sull’organo di controllo interno, si apporta una modifica diretta, anche in questo caso, a rendere più chiara una formulazione originaria non troppo felice. Più precisamente, si dispone adesso che l’organo di controllo di cui all’articolo 30 “può esercitare inoltre, al superamento dei limiti di cui all’articolo 31, comma 1, la revisione legale dei conti. In tal caso l’organo di controllo è costituito da revisori legali iscritti nell’apposito registro”. Com’è noto, infatti, gli enti del terzo settore sono soggetti alla revisione legale dei conti in presenza delle condizioni stabilite dall’articolo 31. La revisione è effettuata da un revisore legale o da una società di revisione legale iscritti negli appositi registri. Tuttavia, nel caso in cui l’ente del terzo settore abbia nominato (o debba nominare) un organo di controllo interno, potrebbe decidere di affidare a quest’ultimo organo anche la revisione legale (quando essa è obbligatoria ai sensi dell’articolo 31 del Codice), evitando così di attribuire il relativo incarico ad un revisore legale esterno. La legge richiede, però, che in tal caso l’organo di controllo interno – il quale, è opportuno ricordarlo, potrebbe anche essere composto da una sola persona – sia interamente composto da revisori legali iscritti negli appositi registri. Impreciso appare tuttavia il “correttivo” là dove fa riferimento al solo comma 1 dell’articolo 31, perché in realtà la nomina di un revisore legale è obbligatoria anche ai sensi del comma 3. Ciò potrebbe dar luogo ad una questione interpretativa che il buon senso dovrebbe sciogliere nella direzione per cui l’eventuale allocazione all’organo di controllo interno della funzione di revisione legale è consentita anche qualora la revisione legale sia obbligatoria ai soli sensi dell’articolo 31, comma 3 (cioè nel caso di costituzione di patrimoni destinati).
8) Alcune novità afferiscono alla disciplina particolare di organizzazioni di volontariato ed associazioni di promozione sociale. Sono stati innanzitutto modificati gli articoli 32, comma 1, e 35, comma 1, del Codice, per tenere conto della specificità delle ODV e delle APS di secondo livello (totalmente trascurate dalla legislazione preesistente alla riforma). Queste ultime, infatti, non essendo organizzazioni di individui bensì di enti (rispettivamente, di ODV e di APS), non potrebbero avere associati volontari mediante i quali svolgere la propria attività. Correttamente si stabilisce pertanto adesso, con il “correttivo”, che la dimensione volontaria dell’azione di ODV ed APS di secondo (o ulteriore) livello si ottiene e realizza allorché questi enti si avvalgano dell’attività di volontariato delle persone associate alle ODV o APS di primo livello ad esse aderenti. Un numero minimo di associati caratterizza normativamente sia ODV che APS (7 persone fisiche in ODV e APS di primo livello; 3 ODV o 3 APS in quelle di secondo livello). I nuovi commi 1-bis degli articoli 32 e 35 regolano adesso l’ipotesi in cui, successivamente alla sua costituzione (in assenza del numero minimo, infatti, l’ente non potrebbe neanche costituirsi come ODV o APS), questo numero minimo venga meno, prevedendo che esso debba essere reintegrato entro un anno, trascorso il quale invano, l’ente è cancellato dal registro unico nazionale del terzo settore qualora non formuli richiesta di iscrizione in un’altra sezione del medesimo (una sezione, evidentemente, corrispondente ad una tipologia di ente del terzo settore per la quale non sia richiesto un numero minimo di associati).
9) Alcune modifiche puramente formali riguardano la disciplina particolare degli enti filantropici. L’articolo 38, comma 2, è stato infatti opportunamente allineato alla definizione che di tali enti offre il precedente articolo 37, comma 1. Risulta conseguentemente confermato che gli enti filantropici possono sostenere non soltanto altri enti del terzo settore, ma più in generale persone svantaggiate ed attività di interesse generale, anche se non svolte da enti del terzo settore.
10) Segnaliamo infine una novità concernente il sistema di controllo dei centri di servizio per il volontariato. Esso si articola non più regionalmente (come in passato), bensì in ambiti territoriali individuati dall’articolo 65. Ebbene, uno di questi ambiti, l’ambito 4 (Veneto e Friuli Venezia Giulia), è stato suddiviso dal “correttivo” in due ambiti, sicché oggi figurano in totale 15 ambiti territoriali, tra cui quelli del Veneto e del Friuli Venezia Giulia come ambiti separati (quest’ultimo andrà a costituire il 15° ambito). di Antonio Fici
*Avvocato e professore dell’Università degli Studi del Molise (già consulente del Ministero del lavoro per la riforma del Terzo settore e curatore del volume “La riforma del terzo settore e dell’impresa sociale. Una introduzione”, pubblicato dalla Editoriale Scientifica nel gennaio del 2018).
fonte: www.vita.it