Il vicolo cieco della povertà educativa

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Da vent’anni in Italia mancano politiche organiche su infanzia e adolescenza. Il risultato? Oggi per un bambino che nasce in una famiglia in difficoltà è quasi impossibile riscattarsi. Un’anteprima dal magazine in distribuzione.
In Italia un milione e 208mila bambini vivono in povertà assoluta, un bambino su 8. La povertà non riguarda solo presunti “altri”: il Mezzogiorno, gli stranieri, le periferie… Tocca l’11,7% dei bambini che vivono al Nord Italia e il 13,9% di quelli che vivono al Sud; il 10,8% di chi vive nelle città metropolitane e il 9,7% di chi vive in piccoli comuni. È come dire ciascuno dei nostri figli , forse tre compagni di classe che non riescono a mettere insieme il pranzo e la cena. La povertà dei bambini ci riguarda anche se non vogliamo. Perchè c’è un paradosso, in Italia, parlando di bambini: il bambino individuale, il mio, viene — come canta Fedez — «prima di ogni cosa», mentre i bambini nel loro insieme sono ignorati, accantonati, sacrificati. “Periferie” nell’agenda della politica e della società. Che non ci sia attenzione per loro è — scandisce Giulio Cederna — «incontrovertibile». Da anni lui cura per Save the Children l’Atlante dell’infanzia a rischio: «Tutti i dati, da quelli demografici a quelli sulla povertà, da quelli sulle politiche sociali a quelli sull’urbanistica, confermano come l’infanzia sia fuori dall’interesse di questo Paese. A parole c’è un sovrainvestimento, nei fatti si fa poco o nulla». Il “poveri bambini” del titolo fa riferimento proprio a questo clima culturale: i bambini in Italia oggi non sono soltanto i più poveri (un dato per tutti? Prima della crisi, nel 2005, la classe d’età in cui si concentrava maggiormente la povertà erano gli over65, mentre ora la classe d’età con più poveri sono gli under18) ma anche quelli contro cui facciamo crociate perchè i loro giochi e canti ci disturbano e quelli sulle cui spalle stiamo caricando i problemi strutturali del Paese (vedi alle voci demografia, debito pubblico e welfare). Spesso peraltro troppo soli, denuncia Ernesto Caffo, presidente di Telefono Azzurro, perché «pur sapendo che le competenze si fondano sulla relazione, dopo un forte investimento sulla relazione tra genitori e figli nei primissimi anni di vita, questa si dissolve progressivamente con la preadolescenza, precocemente rispetto ai bisogni reali del bambino. La sfida è creare spazi affinché questa presenza attenta e competente dei genitori accanto ai figli duri nel tempo, che significa rivedere i tempi del lavoro e della cura, per creare autonomie sta- bili e non frutto di abbandono».
Diritti = pari opportunità
«In Italia, oggi, per poter dire che i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza sono tutelati, occorre che siano garantite pari opportunità a tutti, a prescindere dalla nascita e dal luogo di vita», dichiarava la Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Filomena Albano, in occasione dell’ultima Giornata Mondiale dell’Infanzia. Arianna Saulini è la portavoce del gruppo Crc, un network che riunisce i maggiori enti di Terzo settore che in Italia si occupano di promozione e tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e che periodicamente cura un “contro-rapporto” di monitoraggio sull’attuazione della Convenzione dei diritti del fanciullo in Italia. «Il tema strategico che abbiamo messo in luce con l’ultimo report è che in Italia c’è un’attuazione di diritti molto diversa da una regione all’altra. Non si tratta solo delle arcinote differenze nell’accesso ai servizi per la prima infanzia ma anche, ad esempio, sulla salute. C’è una vasta gamma di diritti a rischio a seconda del territorio in cui si vive», afferma Saulini. Da dove ripartire? «Dall’attuare le buone leggi che abbiamo: la legge Zampa per l’accoglienza dei minori non accompagnati è un modello, ma mancano i decreti attuativi; la Buona Scuola ha riconosciuto che i servizi per gli 0 e i 3 anni sono il primo step del sistema educativo, ma al Miur la cabina di regia non c’è…».
Disuguaglianze e pari opportunità sono il tema cruciale parlando di infanzia. «A livello generale, sono almeno vent’anni che non si mette mano al sistema delle politiche sociali ed educative e così oggi in Italia un bambino è troppo in balìa della ricchezza e degli strumenti culturali che la sua famiglia è in grado di offrirgli, senza un sistema organico attorno che compensi i casi in cui quella dotazione è ridotta, e permetta al bambino un riscatto sociale», chiosa Cederna. Il cuore di tutto è quella povertà educativa — povertà di opportunità, ma innanzitutto della possibilità di un pensiero differente — che come un pavimento colloso invischia i bambini e li avviluppa in un futuro già scritto, poveri di generazione in gene- razione. Mentre también el derecho al futuro es un derecho humano, come ha detto Papa Francesco alla recente Giornata mondiale della gioventù di Panama. Figuriamoci per i bambini.
Per raccontare la realtà dell’infanzia — così diversa non solo fra Nord e Sud del Paese ma anche fra città e aree interne e addirittura fra un quartiere e l’altro della medesima città — i ricercatori da qualche tempo hanno optato per un approccio che incrocia più indicatori (la povertà è sempre un fenomeno multidimensionale e per la povertà dei bambini ciò è lapalissiano), su un territorio sempre più circoscritto. L’obiettivo è individuare le aree in cui gli effetti della deprivazione si sommano per far capire che proprio lì occorre mettere più risorse, trasformando le aree più a rischio in aree a più alta intensità educativa. È la strada battuta anche dal nuovo Osservatorio sulla povertà educativa nato dalla collaborazione tra l’impresa socia- le Con i Bambini — l’ente gestore del fondo sperimentale contro la povertà educativa che dal 2016 ad oggi ha già erogato 202 milioni di euro su circa 250 progetti, raggiungendo 500mila bambini — e la Fondazione Openpolis. «Il nostro principale contributo vuole essere una banca-dati per analizzare questi fenomeni a livello comunale o sub-comunale, poiché la media nazionale o regionale in realtà nasconde la disomogeneità dei territori», racconta Vincenzo Smaldone, responsabile editoriale di Openpolis. Su Roma ad esempio hanno visto che due zone contigue come Ostia Nord e Casal Palocco hanno situazioni diametralmente opposte: bastano pochi metri per avere un destino diverso. «Un’analisi di questo tipo dovrebbe favorire il passaggio a una distribuzione delle risorse programmata sul gap da recuperare: lo Stato deve svolgere la sua funzione essendo più presente nelle zone più svantaggiate, mettendoci più risorse. Senza questo aiuto, i ragazzi non ce la fanno a uscire dal contesto negativo», conclude Smaldone. Anche Francesco Marsico, responsabile dell’Area nazionale di Caritas Italiana, mette l’accento sulla necessità di avere «contesti territoriali che sappiano infrastrutturare, poiché il benessere non è solo familiare, reddituale, relazionale: è territoriale». L’esperienza di Con i bambini, commenta, è apprezzabile soprattutto nel suo sforzo «di costruire comunità educanti dentro i territori, collegando i soggetti, costruendo un’infrastruttura territoriale, per ora solo sociale, che potrà poi rappresentare se non il nuovo volto delle risposte alla povertà, almeno la possibilità di immaginare risposte diverse». E mette in guardia contro il rischio di perdere una generazione dentro le paludi della povertà: «Non è solo quello dei drammi personali e del capitale sociale disperso, c’è anche una questione democratica, perché chi non ha accesso alla cultura è più esposto a forme di comunicazione che puntano non alla consapevolezza ma alla propaganda». di Sara De Carli
Fonte: www.vita.it

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