La riforma del Terzo settore ha introdotto un sistema di agevolazioni più solido e generoso, in cambio di maggior trasparenza e ridotte ambiguità.
Un sistema di agevolazioni più solido e più generoso in cambio di una maggior trasparenza. Sembra essere questo il filo rosso della riforma del Terzo settore che ha ricevuto l’ultimo via libera nel consiglio dei ministri del 28 giugno. L’biettivo esplicito è quello di mettere ordine nel variegato mondo del no profit, finora interessato da disposizioni frammentarie e poco coordinate.
Dei quattro decreti legislativi attuativi della legge delega 106/2016 il più importante è quello relativo al codice del Terzo settore. Gli altri decreti legislativi sono quelli su impresa sociale, cinque per mille, servizio civile e Fondazione Italia sociale. Interessati a questo nuovo assetto ben 300 mila associazioni, 1 milione di lavoratori e oltre 5 milioni di volontari.
Una volta tanto non si tratta di una riforma dal respiro corto. Il governo, anzi, sembra essersi reso conto che l’apparato statale è sempre meno in grado di rispondere alle richieste di assistenza e di welfare che provengono da fasce sempre più ampie della popolazione. Negli ultimi anni, caratterizzati da una forte crisi economica, è diventato evidente che strutture privatistiche, ma votate al sociale, hanno progressivamente preso il posto dell’apparato pubblico nella fornitura di numerosi servizi di utilità collettiva. Sembra inevitabile una sempre più marcata sostituzione dei servizi resi dalla pubblica amministrazione con attività gestite da strutture private. Una tendenza che nei paesi del Nord Europa è oggetto di dibattito già da qualche anno. La riforma del Terzo settore ha l’obiettivo di stimolare, governare, e migliorare questo passaggio di per sè non eludibile. Vengono perciò disciplinati gran parte dei punti critici del mondo del no profit, come il crowd founding, le regole costitutive e gestionali dell’ente (avvicinandole a quelle societarie), la distribuzione di dividenti, la disciplina fiscale e contabile, i rimborsi spese degli operatori e le retribuzioni dei dipendenti, i diritti di informazione e partecipazione, le scritture contabili, i controlli. Le realtà operanti nel Terzo settore vengono distinte in Organizzazioni di volontariato; Associazioni di promozione sociale; Enti filantropici; Imprese sociali, Reti associative, Società di mutuo soccorso; e per ciascuna di queste realtà viene disegnata la disciplina societaria, contabile, fiscale, e modalità di finanziamento, con l’obiettivo di rimettere in ordine una realtà quanto mai frantumata e caratterizzata da ampi margini di ambiguità. Tutti gli enti del Terzo settore saranno obbligati a iscriversi in un registro nazionale e a pubblicare sul proprio sito internet il bilancio sociale e gli emolumenti, comensi o corrispettivi, attribuiti agli organi di amministrazione e controllo, ai dirigenti e agli associati. In cambio di questo sforzo di trasparenza avranno diritto a un regime tributario di vantaggio: determinazione forfetaria del reddito d’impresa, agevolazioni su imposte di successioni e donazioni, registro, ipotecarie e catastali, restyling di detrazioni e deduzioni per le donazioni a favore degli enti.
Non siamo ancora alla fine del percorso di riorganizzazione, perchè mancano ancora moltissime norme attuative e tutte le disposizioni interpretative, ma non c’è dubbio che la parte più importante del lavoro di riorganizzazione è stata fatta. E, almeno per ora, con una certa soddisfazione anche da parte dei diretti interessati.
FONTE: Italia Oggi Sette
AUTORE: Marino Longoni