Portare la spesa agli anziani soli, restaurare mobili da dare ai poveri, collaborare con una squadra di sitting volley o con un progetto di musicoterapia. Da due anni a Rovigo l’idea della Caritas realizzata insieme al CSV continua con buoni risultati
Immaginate una signora anziana che si vede recapitare la spesa a casa da un giovane richiedente asilo. O un gruppo di “profughi” che danno una mano a sistemare l’oasi felina di Rovigo. Da un paio di anni è questa la quotidianità di qualche decina di richiedenti asilo della provincia di Rovigo. Per l’esattezza, una cinquantina i giovani, provenienti da diversi paesi, che hanno sperimentato un’attività di volontariato, nel primo anno del progetto “I have a dream” nella provincia di Rovigo.
Nato da un’idea della Caritas diocesana di Adria-Rovigo e attuato con il supporto operativo del Centro di servizio per il volontariato di Rovigo, il progetto parte da un assunto noto: fare volontariato è un’occasione di socializzazione, di apprendimento e di integrazione sociale. Dunque, perché non proporre attività di volontariato anche ai richiedenti asilo?
Molto diverse le esperienze nate dalla collaborazione tra la Caritas, le organizzazioni che accolgono i migranti e le associazioni locali. Una consistente parte dei volontari ha collaborato, in genere saltuariamente, con “Rikrea”, il servizio dell’associazione Sant’Andrea che recupera mobili usati per destinarli a famiglie bisognose. Altri sono andati nell’oasi felina di Rovigo, affiancando i volontari dell’associazione Uomo Natura Animali, sia nella cura dei gatti, sia nella realizzazione di alcuni lavori di sistemazione dell’area. C’è chi, come un giovane ragazzo del Gambia, ha consegnato la spesa a domicilio a persone anziane e sole, salendo in pulmino una volta la settimana con i volontari dell’Auser “Città delle rose.L’associazione Amici di Elena, invece, ha aperto le porte di due suoi progetti rivolti a persone disabili. Un volontario ha scatenato la propria creatività assieme ai partecipanti di un laboratorio di musicoterapia, mentre una giovane nigeriana ha partecipato alle sessioni di cucina del progetto “L’osteria della gioia”, che punta all’inserimento lavorativo nell’ambito della ristorazione. Sempre a Rovigo, un folto gruppo di richiedenti asilo si è unito ai giocatori della prima squadra di sitting volley locale, nata dall’associazione Vinci l’Epilessia per consentire ai disabili di giocare a pallavolo. Quest’anno è nata una collaborazione anche tra l’Anteas di Costa di Rovigo, che offre varie attività agli anziani e ai cittadini, e un gruppo di ragazzi accolti nel comune.
“I have a dream” si è rivelato un’occasione di crescita anche per le associazioni. “La realtà dei richiedenti asilo, pur essendo intorno a noi nella quotidianità, resta ancora per certi versi distante ed estranea, – racconta Gina Miari, dell’associazione Una. – Così ho avuto modo di conoscere personalmente due protagonisti di queste storie, anche di dolore e difficoltà, che sentiamo solo alla televisione. Mi ha arricchita come persona”.
Negli intenti del progetto della Caritas, c’era anche favorire un maggiore confronto tra richiedenti asilo e comunità, per superare le paure e i pregiudizi. “C’è ancora chi giudica le persone per il colore della pelle e il posto in cui sono nate, – dice Nadia Bala, fondatrice di Vinci l’Epilessia. – Questa cosa mi ferisce. Giocare insieme ha aiutato anche alcuni di noi ad andare oltre. Questo progetto ha migliorato tutti noi”.
“I have a dream” nasce come progetto basato sui piccoli numeri e sulla grande cura dei percorsi scelti, praticamente “tagliati su misura” dei singoli volontari. Partner nella realizzazione sono principalmente la cooperativa sociale Porto Alegre e le associazioni Arcisolidarietà e Di Tutti i Colori, ossia alcune realtà che si occupano di accoglienza.
Nel 2016 questa esperienza è stata raccontata anche con le immagini dal fotografo rodigino Diego Gardina: i suoi scatti sono divenuti una mostra itinerante, esposta in occasione della Giornata del rifugiato e, successivamente, in altre iniziative pubbliche. “Ho cercato di fissare nelle immagini lo spirito di collaborazione ed unione che si era creato tra rifugiati ed operatori delle varie associazioni coinvolte. – spiega Gardina. – Le attività che si sono susseguite davanti al mio obiettivo mi hanno fatto capire e convincere ancora una volta che dove c’è la disponibilità di confrontarsi e mettersi a disposizione gli uni degli altri si può sempre costruire qualcosa di buono, per se stessi e per la comunità di cui tutti facciamo a parte”.
Foto: Diego Gardina
FONTE: Redattore Sociale
AUTORE: Francesco Casoni