Una “Festa delle donne” decisamente in controtendenza, quella che si è celebrata l’altro ieri presso la sede dell’Ada. L’avvocato Antonietta Trotta, invitata dalla presidente dell’associazione Francesca Migliarese a suscitare un dibattito sull’argomento, si è difatti scagliata contro la pratica usuale dei festeggiamenti modaioli dell’8 marzo, che nulla ha a che vedere con il ricordo delle tante donne che hanno combattuto per il riconoscimento dei più elementari diritti.
“Non è andando a festeggiare in qualche locale con le amiche che le donne si riscoprono più libere – ha dichiarato la Trotta, stimolata dalle domande della moderatrice Benedetta Garofalo e delle donne presenti (è altresì intervenuto Luciano Celia, esponente politico locale) – L’8 marzo, infatti, dev’essere uno stimolo a migliorare per vedersi riconosciuti i diritti ogni giorno”. Basta parlare di femminismo, quindi, ma piuttosto adoperarsi a favore della parità di genere, con cui si alimenta la libertà alla quale ogni donna ha diritto di auspicare. Ma è una libertà che l’educazione paritaria da parte dei genitori deve poter agevolare, con la condivisione dei ruoli in famiglia e l’esempio che non fa differenze tra i figli: molte delle discriminazioni tra i sessi, infatti, prendono origine dall’infanzia, con atteggiamenti che infondono insicurezze alle femmine e, al contrario, determinano l’errata percezione del cosiddetto “sesso debole” nei maschi.
Non si può nemmeno pensare che la parità di genere, pur con le molteplici disposizioni normative che si sono susseguite negli anni, possa considerarsi raggiunta con il riconoscimento delle “quote rosa” in politica, o con il reato di “femminicidio” che serve solo ad inglobare il genere femminile all’interno di una sorta di “categoria protetta”, quando c’è il reato di “omicidio” che ne contiene già le varie fattispecie. Paradossalmente, infatti, le tante leggi a tutela delle donne creano ancor più disparità.
Ma sono proprio le donne, il più delle volte – ha continuato senza mezzi termini l’avvocato Trotta – a non sentirsi completamente sganciate da retaggi limitanti pur di non essere considerate “leggere”, e quindi ad autolimitarsi nel processo di costruzione della propria femminilità, che è il risultato di un’indipendenza fisica, morale ed economica insieme. Il cammino verso il riconoscimento della parità in quanto “persona” è dunque ancora irto, e richiede un grado di consapevolezza tale da parte delle donne da essere perseguito ed alimentato, senza doversi snaturare ed omologare all’uomo per vedersi rispettate.
Ufficio stampa CSV Catanzaro