Cala la notte sulla città dove i giovani fuggono e gli anziani… lottano

VIBO

TRA LE STRADE DEL CENTRO RASSEGNAZIONE, RABBIA E AMAREZZA

Cala la notte sulla città dove i giovani fuggono e gli anziani… lottano

Tutti puntano il dito contro gli amministratori Un’intera estate passata nella solitudine

 

Rosita Mercatante

È l’immagine di una città che soffre in silenzio, a testa bassa. E che non esprime nessun desiderio di rivalsa. Anzi la rassegnazione ad una sorta di ingiusta condanna sembra essere il sentimento predominante nell’animo degli abitanti del capoluogo. E sono proprio loro a parlare. Quanti “vivono” la città che raccontano il posto in cui affrontano la propria quotidianità.

Giovani e meno giovani, di diversa estrazione sociale, e con alle spalle le proprie esperienze hanno saputo delineare il profilo di una città abbandonata a se stessa, che oggi come una nobile decaduta riesce solo a ricordare con nostalgia i tempi in cui brillava per le sue ricchezze storiche e culturali, che non è in grado di tenersi stretti i propri figli perché non ha nulla da offrire.

Mancano le opportunità lavorative per i ragazzi, ma non solo: anche la possibilità di crescere e formarsi a livello umano. «C’è un incolmabile vuoto sociale prima ancora che economico. Non esiste più una comunità in quanto mancano i luoghi e le occasioni di aggregazione e di condivisione. È emblematica l’intera stagione estiva trascorsa senza un evento in piazza» ha affermato Francesco Colelli, uno dei pochi trentenni che ha resistito all’emigrazione di massa che ha privato la città di un’intera generazione.

Proprio così, perché una volta compiuti gli studi universitari altrove non si considera neppure l’opzione di fare ritorno in una città semideserta dove si prospetta un futuro incerto e costellato di difficoltà. «Non biasimo chi ha fatto una scelta diversa dalla mia – ha proseguito Colelli – anzi provo invidia nei loro confronti. Qui bisogna lottare ogni giorno anche per avere i servizi essenziali, quelli che ogni amministrazione dovrebbe garantire ai propri cittadini».

Anche Saverio Dimasi, 23 anni, che vive e lavora a Vibo ha la consapevolezza che questo posto è sempre meno una “città per giovani”: «C’è una mentalità molto chiusa e arretrata che non ci permette di sfruttare le risorse naturalistiche che abbiamo. Un forte senso di individualismo prevale sulla logica del gruppo. Ma a tenermi ancora legato a Vibo è il rapporto con la mia famiglia che mi ha insegnato la cultura del sacrificio e mi sento di suggerire ai miei coetanei di rimboccarsi le maniche e accettare di fare lavori manuali e umili purché onesti».

Le voci degli altri e pochi ragazzi che si incontrano per strada si sovrappongono una sull’altra nel ripetere che si trovano in una città dove «non c’è mai nulla da fare» e sono costretti a fare ogni giorno i conti con la noia.

Allegato:

Critiche e idee

I commenti di quanti sono stati testimoni diretti del declino commerciale e sociale della città sono intrisi di amarezza e di rabbia. È lo stato d’animo che emerge dalle affermazioni dei settantenni Giuseppe e Antonio che della situazione di degrado in cui versa ogni angolo della città, ne discutono seduti ad una panchina a ridosso di piazza Municipio: «Ci sentiamo abbandonati da tutti, a partire da chi ci rappresenta in Comune che nonostante le continue lamentele apparse sulla stampa e che si alzano da ogni parte non ha trovato il modo di far ripulire le strade dalle erbacce. Tutto ciò è espressione di disinteresse o di incompetenza?». Per loro c’è la necessità di individuare i colpevoli di una distruzione che si è consumata silenziosamente nell’ultimo decennio. «Le gravi criticità di oggi sono il risultato dell’operato scellerato delle amministrazioni che si sono susseguite nel tempo. I politici hanno sfruttato questa città per coltivare i propri interessi e ancora oggi sono sordi ai bisogni della gente e troppo impegnati nelle loro battaglie per accaparrarsi la poltrona» ha detto Guido Maduli. C’è, infine, anche chi come Vincenzo Neri lancia qualche proposta: «La realtà non ci aiuta a guardare con ottimismo al futuro ma credo che a salvare questa città possa essere proprio la classe della terza età in grado di trasmettere con orgoglio l’amore per la propria identità ai giovani».

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