LIBERARSI DELLA “ZAVORRA DEI PREGIUDIZI”: I RAGAZZI CI METTONO LA FACCIA
Una campagna di comunicazione promossa dal Csv di Catanzaro al termine di un anno di servizio civile rende protagonisti 15 volti, dapprima confusi in una “massa informe” e poi nella loro individualità
L’idea iniziale non era certo quella di metterci la faccia. Eppure sono proprio i loro volti in bianco e nero a fare da corredo all’immagine principale, all’apparenza confusa, della campagna di comunicazione sociale a conclusione dell’anno di servizio civile a Catanzaro: una “massa” informe iniziale, realizzata con la tecnica del collage, e cinque pannelli ad essa legati da cui vengono fuori proprio i ragazzi, nella loro specifica individualità ed espressione tipica. Dodici volti fatti di luce e di ombre, in cui gli attori principali – che per un anno hanno svolto il servizio presso alcune associazioni del territorio (in quanto sedi di attuazione del progetto del Csv di Catanzaro) – hanno guardato dritto l’obiettivo e non si sono nascosti.
Nei loro occhi, infatti, si possono leggere i timori, le speranze, ma anche le disillusioni molto frequenti a questa età: dodici storie diverse, alle quali si sono aggiunte quella di Antonino, un ragazzo disabile che non ha avuto remore a farsi fotografare; di Hajar, giovane africana giunta in Italia per rifarsi una vita; e di Enzo, attore e cabarettista noto in città, nella veste di persona un po’ più avanti negli anni.
Tutti e quindici hanno rappresentato il pregiudizio che è diffuso ad ogni livello e che non risparmia chiunque vesta in modo un po’ strano, abbia i tatuaggi o il piercing al naso, abbia un colore di pelle diverso, un deficit mentale o fisico o sia semplicemente “vecchio”. Già, il pregiudizio: è questo il tema che ha messo tutti i ragazzi d’accordo quando si è trattato di scegliere l’argomento attorno al quale sviluppare il lavoro conclusivo, come sintesi di un percorso formativo orientato al recupero dell’identità di gruppo portato avanti per un anno, in concomitanza con gli impegni che erano tenuti a svolgere in associazione. Di pregiudizio “non si muore” quando serve ad orientarsi nel mare magnum della vita, ma è più facile che si tramuti in una zavorra quando diventa stigma e porta a discriminare, a isolare, a ignorare l’unicità di ognuno. Da qui ad elaborare il testo che ha accompagnato il lavoro fotografico – “Il pregiudizio è una zavorra. Liberatene! La solidarietà va oltre le diversità” – il passo è stato breve.
Più difficile è stato riconoscere di averli, i pregiudizi, e farli venire fuori: c’è chi ha ammesso di nutrire dei pregiudizi nei confronti dei Rom, chi degli immigrati e dei parcheggiatori abusivi, chi addirittura nei confronti degli adolescenti che pensano solo a cose futili o delle persone timide che in realtà lo sono solo in apparenza. E poi ci sono i pregiudizi di cui ognuno, almeno una volta nella vita, è stato vittima: Bud ha paura di farsi crescere la barba per non essere scambiato per un integralista; Gaetano soffre del fatto di essere guardato male perché il suo aspetto aggressivo incute timore; Riccardo non ce la fa più a rispettare l’immagine di quello sempre “buono e bravo” che gli altri hanno di lui; Dasya ricorda ancora gli anni di scuola in cui era derisa perché vestiva “dark”.
Più difficile è stato riconoscere di averli, i pregiudizi, e farli venire fuori: c’è chi ha ammesso di nutrire dei pregiudizi nei confronti dei Rom, chi degli immigrati e dei parcheggiatori abusivi, chi addirittura nei confronti degli adolescenti che pensano solo a cose futili o delle persone timide che in realtà lo sono solo in apparenza. E poi ci sono i pregiudizi di cui ognuno, almeno una volta nella vita, è stato vittima: Bud ha paura di farsi crescere la barba per non essere scambiato per un integralista; Gaetano soffre del fatto di essere guardato male perché il suo aspetto aggressivo incute timore; Riccardo non ce la fa più a rispettare l’immagine di quello sempre “buono e bravo” che gli altri hanno di lui; Dasya ricorda ancora gli anni di scuola in cui era derisa perché vestiva “dark”.
Su impulso dello staff del Csv di Catanzaro, i ragazzi si sono così messi a nudo partendo dalle proprie fragilità per riscoprirsi parte integrante di un tutto in cui apportare però il contributo della propria individualità unica e irripetibile. Le immagini fotografiche, realizzate dal regista Andrea Menniti, con l’apporto di Ilaria Mungo – e che sono state presentate per la prima volta, alla presenza di rappresentanti istituzionali, durante la quinta edizione della Festa del Volontariato promossa dal Csv nei giorni scorsi – sono scaturite dalla volontà di provocare interrogativi nel semplice fruitore che si sofferma ad osservare quel collage disordinato di tanti pezzi di volto assemblati che fa impressione, proprio perché non si sa da dove nasce né dove vuole arrivare. È l’atteggiamento tipico di chi, di fronte a qualcosa che non comprende o per il quale prova fastidio, preferisce allontanarsene e soffermarsi su altro. Eppure basterebbe poco per capire che accanto alla “massa informe” è collocata l’immagine completa dei ragazzi, che si rivelano per come sono, prima che il pregiudizio altrui li releghi ad una sola parte di un “tutto”.
La campagna di comunicazione sociale è il risultato di un anno intenso di servizio civile, ma anche di un lavoro che il Csv di Catanzaro svolge costantemente con le associazioni del territorio. La risposta al pregiudizio, d’altronde, si rinviene nella solidarietà, che abbatte i muri delle diffidenze e vede il bello delle persone.