Si è ciò che si decide di essere

 

Si è ciò che si decide di essere

L’insegnamento di vita dell’artista nata senza braccia, protagonista del decimo International Mountain Summit di Bressanone dove presenta il suo ultimo libro “La strada nuova”

Per molti resta prima di tutto “la danzatrice nata senza braccia”, ma chi ha la fortuna di incontrare Simona Atzori non la percepisce assolutamente come una disabile. Viene conquistato, piuttosto, dalla voce allegra, dalla voglia di vivere e dalla forza interiore. «Io non sono il mio corpo, non sono quello che mi definisce: il mio nome, il sesso, l’età, il fatto di non avere le braccia. Se avessi deciso di essere un corpo senza braccia sarei solo quello. Invece ho scelto di essere altro. Perché si è ciò che si decide di essere», afferma convinta la danzatrice, pittrice e scrittrice nata 44 anni fa a Milano.

Simona sarà protagonista del prossimo International Mountain Summit, il festival dedicato alla montagna che si tiene a Bressanone dall’8 al 14 ottobre, dove andrà per presentare il nuovo libro intitolato La strada nuova (Giunti editore, pagine 288, euro 14,00), non un racconto autobiografico, ma «uno strumento di carattere motivazionale, con cui voglio narrare un periodo che mi ha cambiato la vita, per condividere ciò che ho imparato io».

Al pubblico dell’IMS (martedì 9 ottobre) spiegherà il percorso eccezionale che l’ha portata a scoprire le sue potenzialità e ad accettare i propri limiti superando la sua personale “montagna interiore”. Racconterà di sé, anticipa a Vita, «senza la pretesa di insegnare nulla, ma spiegando come l’atteggiamento può fare la differenza. Perché la capacità di risolvere problemi deriva proprio da come vengono affrontate le difficoltà».

Quando racconta la sua vicenda personale sembra quasi di ascoltare una favola e lei è molto amata proprio per la sua straordinaria positività. Ma tutti si chiedono anche come fa nel quotidiano ad affrontare sfide apparentemente banali (rispondere al telefono, fare il caffè, guidare l’auto) usando quelle che lei chiama “le mie mani in basso”?
Tante cose le ho imparate da piccola, grazie ai miei genitori che quando sono nata hanno deciso subito il da farsi: mi avrebbero insegnato a prendere il ciuccio con i piedini. Poi col tempo ho imparato a cavarmela. Certo, ci vuole molta organizzazione. Non mi chiedo mai comunque “come farò a…”, cerco di scoprire come fare. E se non riesco chiedo aiuto. Ho la fortuna di poter contare su molte persone.

Se dovesse descrivere in tre parole il suo carattere, quali userebbe?
“Allegra”, “innamorata” (della vita) e… “monella”.

Abita a Saronno nella casa dove è nata e ha vissuto a lungo in Canada per studiare arte e laurearsi alla University of Western Ontario. Qual è il suo “luogo dell’anima” e perché lo ama particolarmente?
Sicuramente la Sardegna, le mie radici sono quelle. Una terra particolare, che sento dentro. Mi colpiscono molto gli alberi, piegati dal vento ma mai spezzati. Sento che anche da lì viene la mia anima combattiva.

Gira tutta l’Italia con lo spettacolo di danza e musica che si intitola “Disegnati così” e una volta ha dichiarato: «Ringrazio il Signore non per la vita in generale, ma per avermi “disegnata” esattamente così». Quanto conta per lei la fede?
Dio fa parte di ogni istante della mia vita. Io mi stupisco sempre della mia bella vita senza braccia, credo in un Dio che non mi ha “tolto” qualcosa, ma mi ha “dato” tutto quello che mi serviva.

Da anni si dedica a incontri motivazionali. Come mai? 
Ho cominciato sentendo un’esigenza di condivisione. Alle persone non bastava vedermi danzare o ammirare i miei quadri. Avevano bisogno di scoprire come riesco a fare quello che faccio. Così ho deciso di intraprendere questo percorso e di condividere la mia vita. La parola chiave per me è “amore” e la mia più grande fortuna è stata quella di essere amata. L’amore è la prima forma di riconoscimento.

È anche molto attiva nel sociale. Quali sono le “buone cause” che segue personalmente e perché?
Da anni seguo l’attività di Fondazione Fontana onlus che si occupa di cooperazione internazionale e con loro sono anche stata tre volte in Kenya, nella comunità di Saint Martin. Sono legata a loro da un grande affetto: fanno parte del mio cuore.

Qual è il messaggio che vuole lanciare con il nuovo libro?
Che tutto comincia da un desiderio: essere protagonista vigile e consapevole della propria vita. Ciò che segue è la strada nuova, un cammino in quattro fasi: preparativi, partenza, transito e arrivo. Non detto ricette o formule magiche su come si dovrebbe o come sarebbe giusto vivere. Semplicemente condivido il mio percorso verso la consapevolezza sapendo che non è possibile fermare il cambiamento, ma si può decidere come affrontarlo guardandosi dentro. La vita è un dono. Ci saranno cadute, tempeste, emozioni, sorrisi e lacrime, ma qual è il senso se non si è protagonisti della propria?

Siamo tutti alla spasmodica ricerca di qualche forma di felicità. Cos’è per lei?
Questa è una domanda che mi accompagna da sempre. Anni fa, mentre presentavo il mio libro Cosa ti manca per essere felice? una ragazza mi ha detto che secondo lei la felicità è il viaggio stesso della vita. Non è mai una cosa acquisita, va conquistata giorno dopo giorno. Secondo me la felicità è semplicemente un’opportunità da perseguire, cercare. È un viaggio, non un traguardo, e in questo senso ogni giorno possiamo trovare un piccolo briciolo di felicità.

 

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