La comunicazione delle banche ha bisogno di sociale

 

La comunicazione delle banche ha bisogno di sociale

CONTRARIAN Da oltre un decennio a questa parte, l’immagine delle banche risente pesantemente degli effetti diretti e indiretti della lunga crisi esplosa nel 2008. La crescita delle banche, in un mercato in piena evoluzione dal lato dei consumi finanziari di famiglie e imprese, aveva raggiunto il suo apice poco prima che le avvisaglie di crisi sistemica, generate dal mercato americano, si trasformassero in una bufera senza precedenti, capace di sconvolgere l’intera economia globalizzata. Proprio sul finire di quella stagione erano nati, o si erano ulteriormente consolidati, due colossi di stazza internazionale, Intesa Sanpaolo e Unicredit, frutto di fusioni e acquisizioni, mentre la fase espansionistica si prolungava con le operazioni del Monte dei Paschi, portate e termine nonostante le prime inequivocabili evidenze di una crisi di gravità mai vista. Le banche avevano cominciato a intraprendere la strada della concorrenza tra loro, investendo in comunicazione budget sempre più cospicui e cercando di intercettare la nuova domanda massiva di credito, in particolare mutui e prestiti. Una svolta favorita anche dall’ingresso nel mercato bancario di Banco Poste, un nuovo competitor che aveva scommesso proprio sulla pubblicità in dosi imponenti come strumento strategico per la conquista di nuovi clienti. Sarà proprio l’inventore di Banco Posta, Corrado Passera, a promuovere, dalla tolda di Banca Intesa, lo stesso approccio alla comunicazione come leva competitiva nel campo della finanza. Uno stile presto imitato dalle principali banche italiane, ormai salite come settore nella graduatoria dei maggiori investitori pubblicitari del paese, poco sotto le tradizionali posizioni dell’automotive, delle telecomunicazioni, dell’alimentare. La crisi finanziaria congelerà questo percorso, ricacciando le banche nostrane, eccezion fatta per le maggiori, in un lungo silenzio. Nata altrove, e in larga misura avvertita come incomprensibile dai più, la crisi innescata dai subprime contagerà i sistemi finanziari, producendo una progressiva contrazione del credito. A causa di ciò, le banche italiane, benché sostanzialmente incolpevoli, saranno viste come causa delle crisi aziendali e corresponsabili dei fallimenti e delle chiusure di imprese. Ma il peggio doveva ancora venire. La reputazione delle banche sarà investita dalle inaspettate gravi difficoltà patrimoniali prodotte dalla crisi finanziaria e dalla forte instabilità proiettata sui fondi sovrani. Insomma, una lunga tormentata ordalia, ancora in pieno svolgimento, che si porterà dietro default ragguardevoli e continui interventi d’emergenza per evitare crisi ancora più devastanti. Vicende recenti. Le banche, intanto, pur con risorse molto meno generose, hanno ripreso a comunicare, cercando di modificare contenuti e impronta della pubblicità e proponendosi in qualche caso come interlocutori affidabili ed empatici. Un tentativo non sempre accompagnato da qualità e coerenza dei messaggi e spesso affidato a schemi ripetitivi o superficiali. La fiducia di clienti e risparmiatori guarda, innanzitutto, alla robustezza effettiva dei bilanci, difficile da comunicare con gli strumenti della pubblicità e che solo alcuni istituti possono esibire. A ben vedere c’è, però, un grande spazio di comunicazione che può contribuire a migliorare l’immagine del mondo finanziario. È quello della sostenibilità, della promozione attiva di progetti ad alto impatto sociale e della cultura dove ricostruire un po’ per volta una nuova percezione delle banche come operatori legati alle comunità, ai territori, alle persone. In attesa che si affacci, anche qui, la temuta minaccia delle fintech, la sfida nel mondo del credito può ricominciare da una comunicazione centrata su una forte e autentica identità sociale. Perché saranno la vicinanza e la responsabilità più che l’abilità commerciale e l’advertising a restituire alle banche il rispetto dei tempi andati.

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