Il rapporto di Caritas e Migrantes ribalta la visione che li descrive sempre “in stato di bisogno” e racconta quanto l’Italia riceve da loro. Partendo dalla nuova categoria che ha il pregio di indicare l’acquisizione della piena partecipazione sociale e della cittadinanza. I dati dell’emigrazione nel mondo e in Europa
ROMA – Persone attive, propositive, in grado di contribuire alla crescita del paese. Sono i “Migranti, attori di sviluppo”, secondo il ventiquattresimo rapporto Immigrazione di Caritas e Migrantes presentato oggi a Milano al Conference Centre di Expo. Il più delle volte si sente parlare e si descrivono i migranti come “quelli che chiedono”, “gente a cui dare”, poiché “in stato di bisogno”. Dall’esperienza maturata in tanti anni di servizio, Caritas e Migrantes, nelle pagine del rapporto, hanno voluto invertire la prospettiva e raccontare quanto invece l’Italia e gli italiani ricevono dai migranti.
Dalla descrizione della mobilità internazionale, il documento passa a quella nazionale. “La storia dell’immigrazione italiana – osservano Caritas e Migrantes – è caratterizzata da una continua e costante interpretazione negativa ed emergenziale del fenomeno, come a rifiutare gli ultimi quarant’anni di storia scritta inevitabilmente insieme ai migranti, divenuti ormai parte integrante e strutturale dei territori, demograficamente attiva, economicamente produttiva, culturalmente vivace, e religiosamente significativa, indispensabile al futuro di un Paese altrimenti destinato a spegnersi inesorabilmente”.
Gli “immigranti” e la piena partecipazione sociale. L’analisi parte da una precisazione terminologica: il termine “immigrati” è problematico. “Immigrazione” indica sia un movimento (si parte dal proprio paese per giungere al paese che si è scelto come meta d’immigrazione), sia un risultato (si arriva, si tenta di inserirsi, e dalla società d’approdo è defnito come “immigrato”). Dal punto di vista del risultato, “italiani”, “immigrati” e “stranieri” appartengono tutti alla popolazione italiana. Sta di fatto che queste tre categorie sono talvolta confuse tra loro. Ma, nei casi concreti, occorre usarle con cautela. Se, da un lato, l’immigrato è, per definizione, chiunque viene qui dall’estero, dall’altro, nel linguaggio corrente diventa colui al quale si attribuisce un determinato stereotipo legato all’appartenenza etnico-nazionale (ad esempio, i ghanesi sono “simpatici”, i rom sono “ladri”) ad uno status sociale (gli “extracomunitari sono poveri” e “portano malattie”). Un esempio esplicativo è quello dei figli di genitori immigrati in Italia. Secondo una categorizzazione che è adottata anche dagli studiosi, sono definiti “immigrati di seconda generazione” pur essendo nati in Italia. Quest’ultimo caso è uno degli innumerevoli esempi degli effetti di una visione sociologica etnocentrica. Nel caso dei figli degli immigrati, ascrivere la loro esperienza a quella dei loro genitori in quanto immigrati, significa trascurare quasi del tutto il loro essere educati e formati in Italia. È la stessa presenza di famiglie d’immigrati a mettere in discussione i modelli culturali della società d’approdo, tanto che si può parlare di integrazione in termini d’interazione reciproca tra i migranti e la società d’inserimento.
Si può parlare dunque d’immigrati come “attori in divenire”, e qui sembra opportuno (se non doveroso) precisare che proprio per superare la percezione degli immigrati in termini di persone dallo status definitivo è stato proposto di parlare di “immigranti” (a partire dal termine inglese immigrants), per sottolineare una condizione che è, invece, o dovrebbe essere, transitoria. Il termine, quindi, ha il pregio di indicare un passaggio, uno status provvisorio che dovrebbe essere superato con la pienezza della partecipazione sociale e della cittadinanza.
Nel mondo 232 milioni di migranti. Secondo l’Onu, nel 2013 sono circa 232 milioni di persone nel mondo che vivono in un paese diverso da quello d’origine, di cui la componente femminile è del 48%, dato che, confermando quello del 1990, permette di sottolineare che uno dei caratteri delle migrazioni del nuovo millennio consiste proprio nel ruolo sostanzialmente paritario dei generi nei flussi internazionali. L’accelerazione del processo risulta in modo evidente se si tiene conto che, nel 1990, i migranti nel mondo ammontavano a 154 milioni. È molto probabile però che questo dato non tenga adeguatamente conto dei migranti “senza documenti”. Va comunque precisato che, secondo le stime dell’Oim, la quota dei migranti irregolari sul totale dei flussi internazionali ammonterebbe al 10-15%.
Dal 1990 al 2013 il numero delle persone che hanno lasciato il proprio paese d’origine è aumentato del 50,2%. Nel 2013 in totale i migranti rappresentano il 3,2% dell’intera popolazione mondiale, rispetto al 2,9% del 1990. Da questo punto di vista, sempre secondo l’Onu, nel 2013 l’Europa e l’Asia ospitano il 62% del totale internazionale dei migranti. A seguire c’è il Nord America col 23%, l’Africa (8%), l’America Latina e i Caraibi (3,7%) e l’Oceania (3,4%). Ancor più interessante è il considerare gli 11 paesi del mondo con più alto numero di migranti che nel 1990 insieme totalizzavano il 44% del totale internazionale e nel 2013 hanno raggiunto il 54%. È interessante notare che Stati Uniti e Federazione Russa ospitano complessivamente un quarto del totale dei migranti internazionali. Oltre ai paesi d’oltreoceano, come il Canada e l’Australia, e quelli arabi (Arabia Saudita e Emirati Arabi), nei primi 11 paesi sono presenti anche paesi europei, come la Germania, il Regno Unito e la Francia e, agli ultimi posti, la Spagna e l’Italia.
Triplicati i migranti in Europa. Come si è visto a proposito dello scenario internazionale, l’Europa, ospitando il 31,3% del totale dei migranti internazionali, risulta assieme all’Asia e al Nord America, tra le aree con maggiore presenza dei migranti internazionali che nell’insieme ospitano l’85% dei migranti internazionali. Tra il 1990 e il 2010 l’Ue ha attratto (al netto dei rientri) 28 milioni di immigrati, oltre il triplo rispetto al precedente periodo 1970-1990 (8 milioni). In particolare, dall’inizio del nuovo millennio si è assistito ad un consolidamento del sistema migratorio dell’Ue a partire dai suoi caratteri di area economica la cui forte coesione, per lo meno politicamente intenzionale, ha fatto sì che fossero particolarmente controllate e rigide le trattative per l’ingresso dei nuovi membri. Questo ha determinato una forte crescita del’immigrazione che ha consolidato un ruolo significativo dei paesi dell’Ue nel panorama internazionale dei flussi di migranti. Il numero totale di stranieri residenti nell’Unione Europea, al 1 gennaio 2013 è di 34,9 milioni di persone, pari all’8,4% del totale della popolazione.