Raffaella Cubello, Antonia Amelio ed Ester Maria Ciacci inizieranno la loro prima esperienza lavorativa – rispettivamente alla reception, al bar ed in sala – il prossimo 29 agosto al villaggio “Calagreca” di Capo Piccolo in provincia di Crotone. Anche se si tratta di un percorso lavorativo “a tempo”, si sono preparate per affrontarlo al meglio, e potranno contare per tutta la durata del rapporto sulla piena vicinanza della loro referente, Amalia Traversa. La particolarità di questa storia – che è stata presentata alla stampa ed alle autorità mercoledì mattina al Musmi su iniziativa della sezione di Catanzaro dell’AIPD, presieduta da Maria De Caro – è che Raffaella, Antonia ed Ester sono persone con la sindrome di Down, ma amano essere considerate, per loro stessa ammissione, come giovani donne speciali con un alto grado di autonomia.
Essere messe nelle condizioni di imparare a lavorare – che è ben diverso da imparare semplicemente un lavoro – è una conquista che va ad aggiungersi a quelle finora raggiunte, come sapersi muovere da sole, prendere i mezzi pubblici ed orientarsi in città, saper maneggiare il denaro ed aver acquisito competenze informatiche. Con il progetto di inserimento lavorativo di Fondazione con il Sud, della durata di diciotto mesi – che coinvolge tredici operatori, 39 persone con sindrome di Down ed altrettante famiglie delle sei regioni del sud – l’Associazione Italiana Persone Down (AIPD) si adopera concretamente per offrire una possibilità di occupazione che si avvale di una serie di servizi, quali la consulenza ed il sostegno alle persone con sindrome di Down attraverso la valutazione delle competenze e la costruzione di profili individuali; l’attività di sensibilizzazione nei confronti delle famiglie ed il tutoraggio durante tutto il percorso lavorativo. C’è poi l’attività di informazione nei riguardi delle aziende, che, come nel caso del “Calagreca” sotto la direzione di Clelia Giordano, ha portato i suoi buoni frutti.
E’ la stessa legge 68/99 ad aprire il mondo del lavoro alle persone con sindrome di Down, facendo sì che l’Italia sia all’avanguardia da questo punto di vista, ma c’è ancora molto da fare (ed il ruolo delle associazioni è decisivo in questo contesto) per il superamento degli stereotipi che abbracciano la condizione genetica che accomuna circa 40mila italiani. Ci ha pensato Francesco Cadelano dell’AIPD nazionale a farli cadere tutti: innanzitutto, la “Trisomia 21” non è una malattia né tantomeno è ereditaria, ma è un’alterazione cromosomica che provoca un ritardo nello sviluppo mentale, fisico e motorio del bambino. Ciò, però, non significa che il bambino Down non possa crescere e diventare adulto (l’aspettativa di vita è andata, infatti, aumentando negli ultimi anni), fare esperienze, stare in società, avere interessi, innamorarsi e lavorare. Le persone con sindrome di Down non sono tutte uguali, hanno inclinazioni diverse e non vanno mai considerate come “eterni bambini” bensì come “adulti semplici”: così come semplici sono i lavori che riescono a svolgere, ma solo dopo il raggiungimento dell’autonomia che la famiglia è chiamata a mettere in atto sin da subito, ed un collocamento mirato che metta in luce le loro capacità.
Raffaella, Antonia ed Ester, intanto, stanno già preparando la valigia per il percorso di orientamento lavorativo che le porterà a Reggio Calabria dal 6 al 9 luglio: il loro entusiasmo è alle stelle, ma hanno capito che non si tratta di un gioco. E’ attraverso la fatica, infatti, che potranno considerarsi finalmente adulte. E dal fragore degli applausi che hanno ricevuto – presenti in sala il presidente della Camera di Commercio Paolo Abramo, l’assessore comunale alle Politiche Sociali Gabriella Celestino, Antonio Montuoro dell’Asp di Catanzaro ed il presidente del CSV di Catanzaro, Luigi Cuomo – hanno ben compreso che il conseguimento del risultato è alla loro portata.