Primo maggio. La legge riconosce a chi concilia lavoro e assistenza alcuni diritti: congedi e vicinanza della sede lavorativa. Ma spesso questi restano sulla carta. O si trasformano in motivo di discriminazione. La storia di due mamme, l’intervista all’avvocato: “Estendere le tutele ai lavoratori non dipendenti. E attualizzare la legge” .
ROMA – Dovrebbero essere “beneficiati”, ma sono piuttosto discriminati: tanto da rinunciare spesso a quello che sarebbe un loro diritto. Sono i lavoratori “con la 104”, in particolare coloro che assistono un proprio familiare (o affine) gravemente disabile. Una categoria che la legge, da oltre 20 anni, prova a tutelare, ma che di fatto continua ad essere particolarmente fragile. Difficoltà di applicazione, problemi burocratici, ma anche vere e proprie discriminazioni rendono la vita di questi lavoratori particolarmente complicata.
Una vita già molto difficile, come ci racconta in poche righe Marilena: “Ho 61 anni e sono madre di Sabrina, ragazza di 32 anni con sindrome di down e insulinodipendente da 23 anni. Lavoro in provincia di Torino, a 40 chilometri da casa. Ecco la mia giornata tipo: Sveglia alle ore sei. Faccio qualcosa in casa poi sveglio Sabrina, le misuro la glicemia, le preparo colazione e le faccio l’insulina. Partiamo. Lascio Sabrina da mio cognato a settimo torinese, dove alle 9 gli educatori del centro la vanno a prelevare col pulmino. Alle 12 e 30 esco dall’ufficio e, mangiando in auto un panino, vado a misurarle la glicemia e a fare l’insulina. Poi rientro in ufficio alle 13.30. Alle 17 e 30 esco dal lavoro, Torno a Settimo, prendo Sabrina e verso le 18.30 siamo a casa. Preparo la cena, misuro la glicemia, faccio l’insulina. Forse verso le 23 forse mi stendo nel letto. Di notte almeno due volte mi devo svegliare per misurare la glicemia. Se qualcuno dei nostri governanti provasse anche solo per un mese la nostra vita, morirebbe . Noi genitori di ragazzi non autosufficienti abbiamo una forza indescrivibile e io sono felice di poter rendere la vita di Sabrina meno difficile. Ma vorrei almeno poter andare in pensione prima che sia troppo tardi”. Come Immacolata, da 36 anni impiegata al comune, mamma di cinque figli di cui l’ultima con sindrome di Down e problemi di salute: dopo una vita di faticosa conciliazione, “ora ho scoperto che non posso andare in pensione perché l’aspettativa di vita si è allungata e io ho ‘solo’ 56 anni. Devo arrivare a 42 anni di servizio, quando non avrò più le forze per stare accanto alla mia creatura. Ho già usufruito in parte del congedo straordinario e sono costretta a conservarmi il restante per i periodi bui. Dopo 36 anni di lavoro e assistenza, stare a chiedere pietà è davvero troppo”.
Proprio per i lavoratori come Marilena, evidentemente gravati da un peso consistente come quello dell’assistenza, sono stati pensati dei benefici normativi: quelli previsti all’articolo 33 della legge 104/92. Ce ne parla l’avvocata Silvia Bruzzone, che esercita la sua professione da oltre 20 anni a Genova ed è specializzata sulla tutela dei diritti delle persone con disabilità.
Di che benefici si tratta?
Innanzitutto va precisato che i requisiti vengono riconosciuti a parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo, in presenza di handicap in gravità. I benefici consistono in congedo, divieto di trasferimento e diritto alla sede lavorativa più vicina alla propria residenza.
Questa la teoria. Cosa accade nella pratica?
Nella pratica ci sono tante criticità. La prima è “burocratica”, relativa alla fase di accertamento e verifica della disabilità. Di fatto, c’è una grande incertezza, per cui esiste la possibilità che vengano commessi errori in sede di valutazione. Questo compromette l’effettivo godimento dei diritti che spettano a questi lavoratori, per garantire la conciliazione tra lavoro e assistenza,
Altre criticità?
Le frequenti violazioni da parte dei datori di lavoro, che non sempre garantiscono la fruizione dei permessi, non sempre rispettano le circolari applicative e la normativa sulla privacy, talvolta determinano situazioni di mobbing e/o discriminazione. Questo accade soprattutto nel settore privato e in misura maggiore nelle aziende piccole e/o con un’organizzazione rigida, su cui le assenze pesano certamente di più. Nel privato, di fatto, accade spesso che i lavoratori rinuncino ai benefici di legge, per timore di essere licenziati.
Un timore fondato?
Purtroppo sì, è accaduto anche in grandi aziende che, in fase di ristrutturazione e riorganizzazione, una percentuale altissima di esuberi fosse rappresentata dai lavoratori con la 104. Ricordo il caso di Alitalia, per esempio, che ne licenziò centinaia
Lecitamente?
In teoria no, si tratta di discriminazione. In pratica, però, la legislazione sulle discriminazioni inizia ad applicarsi solo recentemente, con relative sentenze significative. Resta comunque, tuttora, la ritrosia dei lavoratori a far valere i propri diritti: posso dire che difficilmente un dipendente di un’azienda, che vede violati i proprio diritti ex 104, si rivolga a un avvocato. E le violazioni sono frequenti: anche sulla vicinanza delle sedi, se speso ci sono difficoltà oggettive ad applicare questo diritto, spesso però le aziende per così dire ‘ci giocano’. E lavoratori con la 104 si trovano a lavorare anche molto lontano da casa.
Ci sono anche benefici pensionistici?
Purtroppo no, anche se proposte di legge in tal senso attendono da 20 anni di essere considerate. L’assistenza è un’attività usurante e le leggi sulle pensioni dovrebbero tenerne conto, prevedendo un prepensionamento o quanto meno evitando l’innalzamento dell’età pensionabile per questi lavoratori
Negli ultimi anni si è iniziato a parlare di “furbetti della 104”? Esiste questo fenomeno?
Certamente sì e ci sono state sentenze clamorose su questi abusi: i congedi ex 104 vengono a volte utilizzati per scopi diversi da quello per cui sono stati pensati. Ma è importante dire che sono eccezioni, non certo la regola…
Questo fenomeno ha acuito i controlli da parte delle aziende, alcune delle quelli ricorrono anche a investigatori privati per pedinare i lavoratori in congedo. Che ne pensa?
Credo sia opportuno fare verifiche e chiedere attestazioni sull’effettività dell’assistenza. Ma non ritengo leciti metodi tanto invasivi. E’ certo che la legge 104 ha 22 anni e chiede di essere rivista, tenendo conto dei cambiamenti avvenuti nella società e nel mondo del lavoro.
E’ una legge obsoleta?
No, va difesa come grande conquista in termini di tutele. Anzi, andrebbe estesa ai lavoratori atipici, parasubordinati ecc, visto che per ora è limitata ai dipendenti. E andrebbe anche estesa alle copie more uxorio, attualmente escluse anche loro. Ma certamente la norma va attualizzata.
Primo maggio. Cosa chiede?
Maggiore attenzione per questi lavoratori, particolarmente fragili e a rischio discriminazione. E un maggiore consapevolezza che, dietro al lavoratore, c’è un padre, una madre, un figlio, una persona. e, in questi casi porta con sé conduce una vita particolarmente complicata… (cl)
Fonte Redattore Sociale