La Corte europea dei diritti umani ha condannato lo Stato italiano a risarcire 889 cittadini italiani infettati da virus di diverso tipo (come ad esempio Aids, epatite B e C) contratti attraverso le trasfusioni di sangue effettuate durante un ciclo di cure o un’operazione chirurgica. La sentenza riguarda i cittadini italiani nati tra il 1921 e il 1993 che vivono tra Italia e Australia (ma, secondo il Corriere, le richieste di indennizzo di italiani infettati da trasfusioni di sangue sono ad oggi circa 120mila).
I ricorsi sono stati presentati a partire dal 2012 inizialmente da una ventina di malati ed il totale dei risarcimenti supera i 20 milioni di euro: la Corte di Strasburgo ha difatti riconosciuto ai pazienti il diritto all’indennizzo amministrativo (previsto dalla legge), dimostrando il nesso di causalità tra la trasfusione di sangue infetto e la contaminazione delle persone.
Uno dei casi che più aveva fatto scalpore si era verificato nel 2013, in Italia: il Ministero della Salute fu costretto a risarcire quasi un milione e mezzo di euro per la morte di una ragazza 28enne talassemica (una malattia ereditaria che comporta anemia, ovvero una diminuzione della presenza di emoglobina utile al trasporto dell’ossigeno nel sangue) di Trani, che aveva contratto la cirrosi epatica in seguito a trasfusioni di sangue infetto dal virus Hcv.
E, sempre nel 2013, i giudici europei avevano imposto allo Stato italiano di versare a tutti i 60mila contagiati l’indennità integrativa speciale prevista dalla legge 210/1992. Prima di questa sentenza, infatti, i pazienti infettati ricevevano un indennizzo pari a un minimo di 540 euro al mese: dopo la decisione della Corte dei diritti umani, invece, l’indennizzo è stato aumentato di 100 euro al mese.
Un adeguamento, come aveva sottolineato Angelo Magrini, presidente dell’Associazione politrasfusi italiani, “che contribuisce al sostenimento delle spese per farmaci e ticket a carico dei malati, e in costante aumento”.