Dalla consultazione di 150 dirigenti, il report di CSVnet su “pratiche, idee e propositi dei Centri di servizio a partire dalle lezioni apprese durante l’emergenza Covid-19”. Tra le sfide: consolidare il digitale e cambiare la cultura “strumentale” delle pubbliche amministrazioni verso il terzo settore.
Hanno chiuso le sedi al pubblico, ma in poche ore hanno riorganizzato il personale a distanza e non hanno mai smesso di fornire i servizi: quelli tradizionali e quelli richiesti dalla nuova situazione. Per via digitale o per telefono hanno erogato un’infinità di consulenze su come fare volontariato in sicurezza. Hanno mobilitato decine di migliaia di volontari, in gran parte giovani e alla prima esperienza di impegno gratuito.
Sono diventati delle “centrali” di smistamento di informazioni e di storie, ma anche di richieste d’aiuto da persone in difficoltà, svolgendo con lo spirito di un “pronto soccorso” una funzione cruciale di raccordo tra associazioni, cittadini e istituzioni.
Hanno osservato come una buona fetta del non profit abbia saputo reagire con flessibilità e straordinaria creatività (e anche con una sorprendente “conversione” al digitale) ai nuovi bisogni generati dall’emergenza sanitaria. Ma anche come il volontariato, e non solo quello “di base”, continui generalmente a essere trattato dalle pubbliche amministrazioni in modo “improprio e residuale: una manovalanza veloce e a costo zero, buona per tappare i buchi”.
E soprattutto hanno capito cosa bisogna fare nell’immediato futuro e quali errori non si devono ripetere: non solo per rispondere a eventi improvvisi e straordinari, ma per svolgere con più efficacia il ruolo loro assegnato.
Una grande intervista collettiva
La pandemia da coronavirus non è stata la prima emergenza affrontata in questi anni dai Centri di servizio per il volontariato (Csv), ma è stata certamente quella che per la prima volta ha interessato tutta la rete nazionale. Una prova difficile, ma anche una sfida esaltante per verificarne le capacità di tenuta, e per riflettere in profondità su quanto avvenuto nei primi mesi del 2020. È ciò che si è tentato di fare con “Il volontariato e la pandemia. Pratiche, idee, propositi dei Centri di servizio a partire dalle lezioni apprese durante l’emergenza Covid-19”, il report realizzato da CSVnet dopo la “consultazione” di tutti i Csv svolta a giugno 2020.
Un questionario on line sulla fase 1, contributi scritti, otto sessioni di ascolto (oltre 20 ore in totale), le voci di oltre 150 dirigenti e operatori interpellati su quattro blocchi di domande: “cosa abbiamo fatto, cosa abbiamo imparato, cosa dovremmo fare (ed evitare) col senno di poi, cosa ci aspettiamo da CSVnet”. Il report è la sintesi questa “grande intervista collettiva”, scritta utilizzando centinaia di citazioni virgolettate e letta anche, nel capitolo finale, alla luce della teoria della “generatività sociale”.
Nonostante tutto
Benché si tratti di una riflessione ancora provvisoria – e a epidemia non conclusa – l’analisi e le prime conclusioni dei Csv appaiono già piuttosto definite, sia riguardo allo stato del non profit sul territorio che all’individuazione degli insegnamenti lasciati dall’emergenza.
Nel primo caso, gli Ets (enti del terzo settore, sigla dettata dalla riforma e usata nel report) sono stati a loro volta consultati dalla maggioranza dei Csv, con sondaggi strutturati sulle attività svolte e i problemi incontrati durante e dopo il lockdown: un lavoro di scavo che ha orientato quasi in tempo reale i Csv a rimodulare i servizi sulle reali esigenze degli interessati. I risultati, richiamati in parte nel report, parlano di una quota oscillante tra il 50 e l’80% di associazioni che nonostante tutto hanno continuato a operare, sia nei loro ambiti tradizionali che reinventandosi rapidamente – in presenza o on line – sui bisogni emergenti (consegna cibo e farmaci, assistenza telefonica, lezioni su web ecc.). Ma parlano anche di una difficoltà tuttora diffusa in alcune zone a lavorare in rete e di una quota non irrilevante di associazioni fragili o dall’età media dei volontari molto elevata, che probabilmente dovranno chiudere o fare comunque i conti con la ben nota qu estione del “ricambio generazionale”.
Dal digitale non si torna indietro
Quanto agli insegnamenti, in primo luogo i responsabili dei Centri di servizio hanno preso atto di come le emergenze funzionino da “acceleratori di processi già in corso” e di come, di converso non diano mai modo di improvvisare: si raccoglie insomma “ciò che si è seminato”, per citare uno dei concetti più ricorrenti.
Il processo più visibile è senz’altro quello della digitalizzazione, accolta in modo sorprendente dal volontariato (ma non tutto) e dagli stessi Csv, e dalla quale “non si deve tornare indietro”. Una piccola rivoluzione per un associazionismo che ha sempre esaltato la socialità e la relazione fisica con le persone, e che invece si è accorto di come il web permetta di attuare forme di aiuto a persone in difficoltà in modo talvolta perfino più efficace che “dal vivo”; per non parlare dei vari tipi di incontri trasferibili on line: associativi, di formazione, di consulenza ecc. Certo occorrerà trovare un equilibrio tra modalità in presenza e a distanza: in sintesi, sostengono tutti i Csv, “il futuro è misto”.
Dalla “questua” alla pari dignità
Una delle questioni più delicate riguarda poi i rapporti del volontariato con le istituzioni, con i comuni in particolare. Un rapporto che durante la pandemia ha mostrato in modo eclatante i suoi limiti. Salvo alcuni territori in cui è più avanzata la cultura del fare rete e della pari dignità tra pubblico e privato, gran parte dei Centri di servizio convengono nel giudicare strumentale e regressivo l’atteggiamento delle istituzioni locali verso i volontari, considerati spesso come “utili idioti” o “questuanti inopportuni”. Per arrivare a una reale collaborazione, nella quale si riconoscano anche le idee e le competenze del volontariato, i Csv ritengono urgente consolidare le connessioni con gli enti pubblici e privati, la co-progettazione delle politiche, rafforzando però la consuetudine a lavorare in rete anche all’interno dello stesso terzo settore. Un lavoro a media-lunga scadenza che consiste nel “riempire gli spazi vuoti” e che deve partire subito.
L’onda emotiva
La terza questione urgente è come fare tesoro di quella “onda emotiva” di migliaia di cittadini che hanno mostrato la disponibilità a fare volontariato durante la pandemia; come tenerla viva? Come raccogliere e gestire quell’alto numero di volontari potenziali di cui spesso si parla, ma che si riesce ad attrarre solo raramente?
Un’agenda ambiziosa
Il report mette insomma sul tavolo un’agenda “ambiziosa, ma realistica”, dice il presidente di CSVnet Stefano Tabò nella prefazione, e il modo stesso in cui è stata costruita è un “investimento che risulterebbe sprecato se non ne derivassero puntuali conseguenze operative”, già a partire dalla prossima Programmazione annuale dei Csv.
Ma quell’agenda avrà bisogno di un adeguato sostegno sul livello nazionale da parte di CSVnet. Per questo un intero capitolo contiene le forti sollecitazioni della rete dei Csv all’associazione che la coordina, sia sul piano della formazione e del supporto tecnico, sia su quello dell’interazione con i soggetti di riferimento: dal governo nazionale all’Anci, dalle imprese alle associazioni di categoria, dalla Protezione civile alle Regioni, dal Forum del terzo settore all’Organismo nazionale di controllo degli stessi Csv.