Nel corso della presentazione del libro di Assunta Signorelli, “Donne, psichiatria e potere”, che si terrà giovedì 14 alla Biblioteca “De Nobili”, prenderà la parola anche il COMITATO PER LA SALUTE MENTALE IN CALABRIA, composto da numerose associazioni, con la finalità di:
rappresentare gli interessi delle persone con sofferenza psichica e dei loro familiari, incoraggiando la loro partecipazione alla vita e all’organizzazione dei servizi territoriali di salute mentale;
promuovere il potenziamento e il pieno funzionamento dei servizi territoriali di salute mentale, per ottenere l’efficacia della cura e l’efficienza economica del sistema;
favorire il collegamento tra i servizi sanitari e quelle organizzazioni senza scopo di lucro che garantiscono l’integrazione sociale, l’accesso alla formazione professionale e l’inserimento nei contesti lavorativi delle persone con disturbo mentale;
sollecitare l’applicazione della legge che prevede la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e privilegia misure alternative alla detenzione.
Il Comitato ha in programma di incontrare tutti i soggetti istituzionali interessati, con l’intento di offrire un contributo specifico, nell’ambito della riorganizzazione del servizio sanitario regionale, in occasione della redazione da parte delle Aziende sanitarie dei nuovi atti aziendali, in conformità con le linee guida emanate dal Commissario nel dicembre dello scorso anno.
Il Comitato regionale è composto dalle seguenti realtà locali:
Associazione AVE-AMA, Catanzaro
Associazione Comunità Progetto Sud, Lamezia Terme
Associazione Don Pellicanò, Isca sullo Ionio
Associazione familiari amici sofferenti psichici (AFASP), Calabria
Associazione Intese, Lamezia Terme
Associazione Usabile, Catanzaro
CGIL Calabria
CNCA Calabria
Federsolidarietà Calabria
Consorzio Coop. Sociali Jobel, Crotone
Consorzio Sociale GOEL, Gioiosa Ionica
Coop. Sociale Rossano Solidale, Rossano
Coop. Sociale Strade di Casa, Cosenza
FISH Calabria
Fondazione Città Solidale, Catanzaro
Legacoop Calabria
Il Comitato rivolge il seguente appello ai soggetti istituzionali e lo porta a conoscenza di tutti i cittadini calabresi:
“Ormai da anni, nella politica di chi governa, la questione della salute in generale, di quella mentale in particolare, è solo un problema di costi troppo elevati che vanno abbattuti. Non si parla più della missione dei servizi, di come questi debbano inserirsi nelle comunità territoriali, tenendo conto delle specificità singolari che ogni comunità, per storia e per cultura, porta in sé.
Siamo consapevoli che il tempo delle recriminazioni è passato perché produce soltanto spaesamento nei cittadini che, a fronte del disagio quotidiano, hanno diritto non ad analisi, più o meno raffinate, ma a risposte che quel disagio siano in grado di contrastare. Questo è il momento delle proposte concrete e percorribili, che necessitano di un confronto costante e continuato e del coinvolgimento della comunità nel suo complesso.
La nostra proposta, sulla quale auspichiamo un confronto ampio e articolato con le forze sociali e politiche nel loro insieme, è il frutto di un ampio dibattito al nostro interno e della consapevolezza che i 3 livelli sui quali la Salute mentale si articola: il Modello organizzativo, le Risorse Economiche e il Personale non possono essere disgiunti in termini di responsabilità e azione, pena la dequalificazione della pratica, l’impoverimento dei servizi, il rafforzamento di una cultura dell’esclusione che priva le persone con sofferenza psichica del diritto di cittadinanza più semplice: avere voce ed esistere.
Riteniamo necessaria una ripresa del discorso generale sui servizi di salute mentale, con l’obiettivo di mettere a regime l’organizzazione di questi, in modo da metterli in grado di dare risposte concrete alla sofferenza psichica di un territorio, che anche per altri versi vive una condizione di progressivo impoverimento economico e culturale.
Ci sembra preliminare ed urgente, proprio per potersi muovere in modo serio e realistico, rendere pubblica la spesa annuale sostenuta dalla regione per i ricoveri per problemi di salute mentale, analizzando quanti avvengono in strutture pubbliche e quanti in quelle private accreditate o, comunque, autorizzate, sia intra che extra regionali; quali sono al primo ingresso e quali come successivi rientri. Appare indispensabile, altresì, predisporre una mappatura dell’allocazione delle risorse finanziarie e, di conseguenza, di quelle umane, orientata a colmare l’eventuale disequilibrio nella distribuzione territoriale, ma sempre attenta a cogliere, attraverso opportuni indicatori, i risultati raggiunti a fronte delle risorse impegnate.
Accanto a questi dati pensiamo che sia possibile, da subito, affrontare il tema della progettazione e realizzazione di quei servizi di comunità, capaci di prendere in carico persone con problemi di grave sofferenza psichica, ma anche delle varie forme di abitare assistito, rivolte a soggetti che possono intraprendere un percorso di reinserimento nel tessuto sociale e lavorativo.
Noi vorremmo che il Centro di Salute Mentale (CSM), come ripetono da decenni le varie linee guida nazionali e regionali, sia il luogo sul quale si fonda e dal quale si diparte l’assistenza psichiatrica territoriale; la sede organizzativa ove si attua la reale integrazione tra risposta medico-clinica e risposta riabilitativa, con particolare attenzione alle persone a rischio di esclusione sociale e con sofferenza psichica “grave”. Il CSM è responsabile della continuità del percorso terapeutico, continuità che la crisi non deve interrompere ma rafforzare. Infatti, pur rappresentando un punto di rottura nell’esperienza personale di chi soffre, la crisi è l’occasione perché questa rottura sia accompagnata e condivisa dall’équipe curante, al fine di garantire un’uscita in termini di crescita, acquisizione di consapevolezza e controllo del proprio “malstare”.
In ragione di tutto ciò, un CSM degno di questo nome non può non assicurare la sua piena operatività sul territorio, quanto meno per tutta la fascia oraria diurna, ed essere dotato di tutte le figure professionali necessarie a gestire le varie forme di disturbo, in numero adeguatamente proporzionato rispetto alla popolazione servita.
È sempre il CSM a garantire l’assistenza psichiatrica e psicologica ai detenuti, presso gli istituti penitenziari di riferimento territoriale.
Sarà ancora il CSM a doversi fare carico di quelle persone internate negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, o nelle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS), al loro rientro nel luogo di residenza; ma soprattutto di quelle stesse persone, allorché vengono giudicate adatte ad uscire dal regime di detenzione.
Il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC), che è bene ricordare fa parte del Dipartimento di Salute Mentale, pur essendo collocato in ambito ospedaliero, resta il luogo dove affrontare, quando la situazione lo richiede, la crisi. Servizio delicato, spesso unico funzionante sulle 24 ore, che troppe volte corre il rischio di trasformarsi in un reparto di degenza, proprio per la mancata connessione con i servizi territoriali. Di esso possono avv
alersi gli altri reparti ospedalieri, per consulenze specialistiche, ma anche renderlo destinatario di trasferimenti non sempre appropriati; su di esso ricadono i casi più drammatici, a volte con implicazioni penali, ma nella pratica corrente ciò che accade al suo interno è indifferente alla storia precedente e successiva al ricovero.
Le Strutture Residenziali devono essere i luoghi della riabilitazione vera, con percorsi terapeutici a termine, concordati con il CSM e sottoposti a verifiche periodiche.
Strutture residenziali fra loro differenziate sul versante dell’assistenza, a seconda della tipologia delle persone accolte, che variano da un’assistenza sulle 24 ore o di sola accoglienza diurna, fino a quelle forme di abitare assistito che, proprio per le loro caratteristiche di “normalità” del vivere quotidiano, si stanno dimostrando, nell’esperienza non solo italiana, particolarmente efficaci in termini terapeutici nei percorsi di autonomia delle persone e, il che non guasta, in termini di contenimento dei costi.
Questo complesso di servizi e prestazioni, spesso di carattere non solo sanitario ma anche sociale, deve trovare un riferimento sicuro ed autorevole nel Dipartimento di Salute Mentale (DSM), il contenitore elettivo per accogliere le risorse, le strutture, le varie figure professionali e soprattutto la competenza e la cultura specifica, vasta e articolata, centrata sulla relazione terapeutica, contraddistinta dalla presa in cura secondo il principio della continuità terapeutica, con una speciale attenzione al problema della contenzione, fisica e farmacologica.
Preminente è la missione formativa del DSM, da esercitare anche all’esterno del perimetro dello stesso dipartimento, tesa al superamento delle pratiche di esclusione e reclusione, al disegno di progetti individuali per il recupero delle abilità, secondo i bisogni specifici della singola persona; tutto ciò rivolto anche ai nuovi operatori che entreranno a far parte delle REMS.
Infine, il DSM svolge funzioni di governo gestionale e di coordinamento delle unità territoriali, al fine di un loro più forte radicamento sia all’interno dell’organizzazione aziendale e sia nel territorio, inteso come articolazione di agenzie istituzionali, del volontariato e della cittadinanza nel suo insieme, che potrà esprimere le sue sensibilità nelle Consulte dipartimentali e regionale.
Questo assetto organizzativo rappresenta, come le esperienze di questi anni dimostrano, condizione necessaria, anche se non sufficiente, per ripristinare quel processo di trasformazione culturale, culminato con l’approvazione della legge 180/1978, che aveva spinto gli operatori e le operatrici della salute mentale a ricercare nel mondo “normale” le possibilità di uscire dalla malattia, senza escludere o negare voce e cittadinanza.
E perché questo avvenga è necessario un impegno congiunto di quanti e quante si sentono accomunati dalla volontà, capacità di costruire una società, un mondo che non ha bisogno di escludere nessuno, e dove la salute mentale è sì questione che tutti e tutte ci riguarda, perciò politica, ma anche questione di competenze, professionalità e saperi che non s’improvvisano ma che devono muoversi nel riconoscimento dell’esperienza e delle competenze delle persone con sofferenza psichica, come base essenziale per la pianificazione e lo sviluppo dei servizi per la salute mentale.”