Alle battute finali la riforma del Terzo Settore

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Dopo due anni, eccoci ormai agli sgoccioli: ancora una manciata di giorni e la legge delega di riforma del terzo settore vedrà il via libera definitivo da parte del Parlamento e, una volta entrata in vigore, il governo potrà avviare il percorso dell’emanazione dei decreti attuativi che daranno compimento effettivo alla riforma. Dopo il via libera del Senato il 30 marzo scorso, la Commissione Affari sociali della Camera ha esaminato (e respinto) nei giorni scorsi tutti gli emendamenti presentati al testo: è stata dunque rispettata, almeno fino ad ora, la tabella di marcia che la maggioranza – e il Pd in particolare – avevano previsto, per evitare ogni modifica e portare a casa il provvedimento senza dover ritornare al Senato. Una “blindatura” che del resto era stata decisa mesi fa, quando si era messo in piedi un tavolo congiunto fra senatori e deputati Pd (guidati dai relatori Stefano Lepri e Donata Lenzi) per concordare le modifiche da approvare prima al Senato e poi anche alla Camera. A Montecitorio il provvedimento andrà in Aula la prossima settimana, dopo che saranno arrivati anche i pareri obbligatori delle altre Commissioni competenti. Questione di giorni, comunque.

Mentre, coerentemente con quanto deciso, il Partito democratico non ha presentato alcun emendamento al testo, diverso il comportamento delle opposizioni, che continuano a chiedere modifiche. In particolare i deputati del Movimento 5 Stelle hanno insistito molto con le proposte emendative che già al Senato erano state bocciate, e hanno alzato i toni soprattutto sulla richiesta di soppressione della norma che prevede l’istituzione della Fondazione Italia Sociale. Una norma “oscena”, anzi una vera e propria “porcata”, secondo la deputata Silvia Giordano che ha illustrato in Commissione la proposta di cancellazione, ricordando che per l’ente, “pur avendo natura di diritto privato, è previsto un finanziamento di un milione di euro, incrementabile anche con futuri contributi pubblici”.

I Cinque Stelle hanno affermato che “come ente privato, la Fondazione non dovrà rispettare la normativa relativa alla trasparenza e all’anticorruzione, potrà assumere senza concorsi, effettuare acquisti senza gare di appalto, pur in presenza di un cospicuo finanziamento pubblico”; hanno ricordato che “il testo non delinea con precisione i contenuti dello statuto e la governance della Fondazione, limitandosi a prevedere la designazione di un componente da parte del Consiglio nazionale del Terzo settore, che rischia peraltro di costituire l’ennesimo ente inutile”. Insomma, una “forma giuridica atipica, non prevista dal codice civile”, tramite la quale si “eludono una serie di controlli, a partire da quello della Corte dei conti”.

Una descrizione “impropria”, secondo il sottosegretario al Lavoro e Politiche sociali Luigi Bobba, che giudica “avventato” l’utilizzo del termine “porcata”, anche perché “lo statuto della Fondazione deve essere approvato con decreto del Presidente della Repubblica”. Per Bobba “non costituisce un’anomalia” il fatto che una fondazione privata riceva un finanziamento pubblico, anche perché le finalità sono individuate in modo puntuale (lo sviluppo di interventi innovativi da parte di enti del Terzo settore con elevato impatto sociale e occupazionale) e sono tali che “possono difficilmente essere considerate come clientelari”, richiamando anche “princìpi di efficacia e trasparenza”. Secondo il governo, insomma, la Fondazione rappresenta uno “strumento innovativo che rappresenta una sfida per il nostro Paese per incrementare la raccolta di finanziamenti da parte soprattutto delle società di maggiori, colmando così un ritardo storico”.

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