“Le prigioni della mente”, alla conferenza stampa la lettura degli ultimi nomi dei detenuti morti suicidi in carcere

C’è un argomento che non fa differenza tra nord e sud del Paese. Nel silenzio assordante della politica e della società civile, infatti, le carceri italiane sono ovunque considerate “l’ospizio dei poveri” e la discarica sociale per eccellenza, in cui vengono compresi malati psichiatrici, tossicodipendenti, emarginati senza affetti e senza risorse.

E’ impietoso il quadro delineato dal Garante regionale dei diritti delle persone detenute, Luca Muglia, affiancato dal Portavoce della Conferenza nazionale dei Garanti territoriali, Samuele Ciambriello, alla conferenza stampa che dà ufficialmente il via ai due giorni di convegno “Le prigioni della mente” in Cittadella (presenti, tra gli altri, i Garanti territoriali di Catanzaro, Cosenza e Reggio Calabria, rispettivamente Luciano Giacobbe, Francesco Cosentini e Giovanna Russo). La Calabria, quindi, diventa “crocevia” del dibattito in carcere per il quale sembra non esserci soluzione: e per il terzo mese di fila, il 18 di ogni mese, si ripropone all’attenzione generale il monito del Presidente della Repubblica ad impegnarsi per interventi urgenti che pongano fine al numero preoccupante di suicidi. Degli ultimi – ben quattro nelle ultime ore, 44 dall’inizio dell’anno – ha dato lettura il Garante regionale del Piemonte, Bruno Mellano, ricordando che anche gli agenti spesso si aggiungono al tragico elenco per l’incapacità di dare speranza in un luogo che rappresenta il “fallimento storico” di ogni tipo di recupero e reinserimento sociale.

Come Conferenza nazionale chiediamo interventi urgenti per tutta la popolazione carceraria–  ha tuonato il Portavoce Ciambriello – Il sovraffollamento delle carceri è una diretta conseguenza della non previsione di misure alternative alla detenzione, che fa sì che più di 23 mila persone con un residuo di pena al di sotto dei tre anni, di cui 7954 al di sotto di un anno, si ritrovino in carcere fino all’ultimo giorno senza dover essere lì. Il fatto è che la custodia cautelare in carcere dovrebbe essere prevista per i reati più gravi, invece assistiamo ad un numero elevatissimo di risarcimenti per ingiusta detenzione e ad una “desertificazione affettiva” dalle famiglie a seguito della mancata applicazione del sistema di territorialità. Perché un detenuto calabrese dev’essere recluso in un carcere di un’altra regione? Lontano dai propri affetti è difficile che possa ricominciare il proprio percorso di reinserimento nella società”. Di eguale avviso Valerio Murgano, componente dell’Unione Camere Penali Italiane, che ha parlato in termini di “abuso” dell’utilizzo della custodia cautelare in carcere, che va di pari passo all’aumento dei reati ostativi: e se le carceri italiane stanno per implodere, il cinquanta per cento delle responsabilità è da imputare alla demagogia della politica, e l’altra metà alla magistratura. Quel che è certo è che il sovraffollamento e l’abuso della custodia cautelare – ha tenuto a precisare Muglia – vanno ad aggravare una situazione già compromessa dalle strutture fatiscenti e dal numero esiguo di agenti, le cui nuove assunzioni andranno solo a coprire il numero dei pensionati. Con la conseguenza che i detenuti avranno sempre meno occasioni per uscire dalla cella, con la limitazione ulteriore della dignità, oltre che della libertà: e certo le enormi problematiche evidenziate non si risolvono con l’aumento del numero di telefonate alla famiglia. E’ indubbio che lo stato di detenzione confligga con la riabilitazione del detenuto – ha concluso Antonello Talerico, membro del Consiglio Nazionale Forense ed impegnato in politica – Ma è più facile applicare l’aspetto sanzionatorio che pensare ad altre strade. Anche il sistema della decretazione d’urgenza è previsto per fatti non urgenti, e ciò richiama la magistratura alle sue responsabilità. Ma ora più che mai c’è bisogno di unità nelle scelte e nelle battaglie in tutti i settori coinvolti”.

Ufficio stampa CSV Calabria Centro

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