“Lei mi ha provocato”. Così esordiscono gli uomini che accettano di rivolgersi ai centri di ascolto dopo aver commesso violenza a danno della partner. Intendiamoci, per loro, quando c’è, la violenza è solo quella fisica. Quella psicologica non conta. Ed il percorso per acquisire la consapevolezza di quanto fatto– che può essere intrapreso solo in collaborazione con i centri antiviolenza – è lungo e tortuoso. Tant’è che spesso gli uomini si ritrovano ad interromperlo. Per loro è troppo difficile dover riconoscere di avere un problema sul quale riflettere che è riduttivo definire “psicologico”, visto che ha a che fare con il substrato culturale e con l’incapacità di relazionarsi con il genere femminile.
L’intervento di Michele Poli, presidente del Centro Ascolto Maltrattanti di Ferrara, al convegno organizzato dal Centro Calabrese di Solidarietà in collaborazione con il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati (i saluti introduttivi sono stati affidati al presidente dell’Ordine Giuseppe Iannello), e moderato dall’avvocato Pietro Marino, era il più atteso. Alla sua esperienza in campo nazionale si sono affidati, per avere risposte, la presidente del Centro Calabrese di Solidarietà, Isa Mantelli, che ha posto l’accento sul valore di “prevenzione secondaria” nei termini di reiterazione del reato che può assumere il percorso di recupero; la consigliera regionale di Parità, Tonia Stumpo, che ha ammesso di trovarsi in serie difficoltà a pensare ad un possibile recupero del reo; il magistrato Debora Rizza, che ha dichiarato di dissentire dall’obbligatorietà del trattamento per il maltrattante, e la pedagogista del Centro Calabrese di Solidarietà, Cristina Marino, che ha riportato gli esiti positivi dei colloqui assunti allo sportello ascolto maltrattanti del quale lei è responsabile per conto del Centro Calabrese di Solidarietà.
Le risposte di Poli non si sono fatte attendere: la violenza sulle donne è un problema maschile, non femminile, e gli uomini che la commettono devono prenderne coscienza. Certo, ogni caso è diverso: per gli uomini che non sanno rinunciare alla violenza perché connaturata al loro modo di essere, non può esserci altra strada se non il carcere. Ma esiste anche una percentuale di uomini che, spontaneamente, decidono di affidarsi a mani esperte per fare una riflessione su di sé attraverso i colloqui e l’inserimento in gruppi: nel percorso è altresì previsto il momento di confronto con la partner, necessario a dare una svolta, il più delle volte negativa, alla pseudo storia d’amore. “La violenza sulle donne ha a che fare con la vita di relazione e la cultura da cui siamo permeati, già maschilista di per sé – ha chiarito Michele Poli – Esiste infatti una cultura istituzionale, di linguaggio e comportamenti, tesa a coprire la violenza: ad essa purtroppo, ci sia abitua, e chi l’ha messa in pratica una volta, continuerà a sbatterci ancora, fino a quando non si rende conto della sofferenza arrecata agli altri. Più sono fragili, più gli uomini sono pericolosi: e più si attivano per farsi aiutare a costruire relazioni di cura, sostegno ed amore, più facilmente si allontaneranno dalle spire violente in cui sono caduti”.
Ufficio stampa CSV Catanzaro