Tutti i cittadini dovrebbero avere il “diritto” di fare volontariato. Un diritto che richiede attenzione da chi sta già vivendo questa esperienza ma anche dalle pubbliche istituzioni, quelle dei territori e quelle nazionali.
Può sembrare un paradosso: siamo sempre pronti ad auto-congratularci per i numeri (in aumento, secondo l’Istat), ma dimentichiamo che, secondo le stime, l’80% degli italiani non ha mai svolto né volontariato, né fatto una donazione. Insomma, i volontari sono ancora una minoranza!
In certi contesti è oggettivamente più difficile fare volontariato. Al Sud per esempio, o nelle grandi aree metropolitane; o nei luoghi in cui vi sono poche occasioni culturali a cui partecipare (dove c’è fino al 35 per cento di probabilità in meno di essere un volontario). Favorire l’accesso di tutti al volontariato resta un problema aperto, che deve essere seriamente affrontato dalla politica. Una sfida che riguarda in particolare i giovani, la cui percentuale è in costante diminuzione, almeno nel volontariato tradizionale. Ma riguarda anche una “terza età” che, rispetto al passato, è più in salute e più competente, e che potrebbe essere una risorsa formidabile per migliorare il welfare. E riguarda infine specifiche categorie di cittadini. Come quella dei professionisti desiderosi, nonostante l’impegno lavorativo, di mettere a disposizione le loro alte capacità. O come quella degli immigrati: quanti di essi, al di fuori delle proprie comunità di origine, sarebbero disposti a fare volontariato ma non trovano le condizioni o le occasioni adatte?
Il Codice del Terzo settore approvato lo scorso agosto, all’art. 19 stabilisce che le pubbliche amministrazioni “promuovono la cultura del volontariato in particolare tra i giovani”, attraverso iniziative in scuole e università e il riconoscimento delle competenze acquisite nelle attività svolte in associazioni. Ad essere attenti il Codice impegna le PA “nei limiti delle risorse disponibili”. Ma l’appello non è al portafoglio, bensì al modo di concepire lo stare insieme, di fare comunità, d’essere istituzione, di operare quale funzionario pubblico. La sfida è innanzi tutto culturale. E, in quanto tale, è destinata a toccare la dimensione politica nel profondo delle sensibilità e dei programmi.
Occorre individuare strumenti concreti per far incontrare con rapidità i bisogni e le emergenze sociali con la disponibilità, spesso inespressa, a dedicare gratuitamente del tempo agli altri. Ciò vale per ogni forma di volontariato possibile, da quello in organizzazioni strutturate a quello individuale, fino a quello “non convenzionale” (occasionale, sporadico). Può trattarsi di strumenti su web, insieme a campagne di comunicazione nazionali e ad un piano nazionale di promozione che coinvolga le pubbliche amministrazioni e spinga anche le aziende a sviluppare la propria forza in questo campo. La formazione e l’aggiornamento di chi opera nel pubblico impiego è peraltro imprescindibile. Fare volontariato deve restare sempre una scelta libera, spontanea e disinteressata ma, in quanto vero e proprio diritto, deve avere dallo Stato tutto il sostegno possibile.