Il Coronavirus ha decimato molte associazioni della provincia e rischia di causare chiusure o abbandoni. Il Csv: il problema di tutti è come recuperare e a chi consegnare il bagaglio di competenze e relazioni costruito negli anni. L’urgenza di “pensare per tempo alla successione”
“Lo sapevamo tutti, ma sarebbero bastati i necrologi dell’‘Eco’ per farsene un’idea: pagine e pagine piene di annunci di morti ricordati per il loro ‘impegno sociale’, per il loro essere ‘riferimento della comunità’… Poi, approfittando del periodo di lockdown per riordinare le nostre banche dati, ci siamo accorti che gran parte del tempo se ne va per aggiornare i nomi dei dirigenti delle associazioni… e spesso questi aggiornamenti non sono nemmeno possibili, perché non c’è più nessuno”.
Antonio Porretta, direttore del Centro di servizio per il volontariato di Bergamo, cerca di descrivere un effetto poco considerato della strage causata dal Coronavirus in questa provincia lombarda: “Abbiamo perduto un’intera generazione di ‘cittadini responsabili’, – dice Porretta – di volontari impegnati in ogni campo, e soprattutto dei loro leader: persone che guidavano da anni le associazioni. Alcune di esse sono state letteralmente decimate”.
Non ci sono dati riguardanti questo particolare ambito, ma la situazione generale di Bergamo è nota. L’Istat ha attestato che a marzo il numero di decessi nella provincia è più che quintuplicato (568%) rispetto allo stesso mese del 2019. L’Eco di Bergamo ha svolto una sua ricerca rilevando che, fino alla prima settimana di aprile (quando la curva ha cominciato ad abbassarsi), i morti reali a causa del virus erano stati 4.800 a fronte dei 2.060 ufficiali. Tra questi, come in tutta Italia, la stragrande maggioranza aveva più di 65 anni, la fascia di età dove si concentra quasi un quinto dei volontari, ma una percentuale ben maggiore dei loro dirigenti.
“Tutti questi lutti, – continua Porretta, – rischiano di causare molte chiusure o abbandoni delle associazioni: soprattutto in quelle piccole, chi è rimasto non può o non se la sente di continuare, sia perché è spaventato, sia soprattutto perché non ha più un leader”.
Il direttore del Csv elenca alcuni casi scelti tra gli innumerevoli di una provincia che vanta ben 4.300 realtà non profit e più di 100 mila volontari su 1,1 milioni di abitanti: una associazione che si occupa di trasporto sociale in un medio comune della provincia (il Bergamasco ha 242 municipi, di cui oltre 50 con meno di mille abitanti) ha perso due delle sue colonne e non andrà più avanti; in un piccolo paese è morto il presidente di un’associazione di anziani che catalizzava tutte le iniziative sociali e culturali del luogo: “la moglie ci ha detto che non aveva idea di dove fossero tutte le sue carte… nessuno è in grado di riprendere le fila del lavoro di quell’uomo”; in un paesino della Val Seriana, una delle zone più colpite, se n’è andato un volontario, rettore di un museo di arte sacra, punto di riferimento per tutta la rete dei musei etnografici locali: nessuno è in grado di raccogliere la sua eredità.
La questione delle “leadership carismatiche” e delle presidenze di lungo corso è ben nota nel mondo del volontariato: tutte le ricerche parlano di un alto numero di presidenti e consiglieri che dedicano letteralmente la loro vita, per molti anni, alla missione che si sono dati. Una caratteristica che ha numerosi aspetti positivi, ma che alla luce di quanto avvenuto mostra tutti i suoi limiti: “In queste settimane, – spiega Porretta, – stiamo facendo molti colloqui e focus con gruppi di associazioni: emerge ovunque l’urgenza di ricostruire dalle basi realtà che erano solidissime e che sono crollate, anche dal punto di vista organizzativo. Il problema di fondo è come recuperare e a chi consegnare il bagaglio di competenze, di cultura e soprattutto di relazioni che era stato costruito negli anni”.
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