Amministrazione condivisa, cosa ci si aspetta per il 2023?

Ora che il quadro normativo si è stabilizzato, sono in crescita le ricerche empiriche da parte di diversi enti per mettere a sistema le (tante) esperienze avviate e elaborare prassi che possano essere condivise. Alcuni punti rimangono ancora critici. Ecco quali secondo l’analisi di Gianfranco Marocchi su Welforum.it

Articolo di approfondimento pubblicato su Welforum.it il 14 febbraio 2023

Nel marzo 2022 Welforum.it pubblicò un Punto, “Amministrazione condivisa: il momento delle pratiche” che segnava il passaggio da una fase del dibattito centrato sulla legittimità dell’amministrazione condivisa ad una in cui, una volta che essa non è più messa in discussione, ci si dedica ad approfondire l’analisi delle concrete esperienze di co-programmazione e co-progettazione, di quanto funziona e di quanto mostra criticità e delle soluzioni che vengono adottate per affrontarle. E questi saranno, con ogni probabilità, i temi prevalenti nel 2023.

Prima di sviluppare tali aspetti, si richiamano però sinteticamente i principali avvenimenti del 2022 sul fronte normativo.

Il 27 luglio 2022 l’Anac approva le Linee guida numero 17 (“Indicazioni in materia di affidamenti di servizi sociali”), che all’art. 2 definiscono gli istituti dell’amministrazione condivisa di cui al titolo VII del codice del Terzo settore come estranei o esclusi dal codice degli appalti. Il Consiglio di Stato, che esamina le linee guida nell’ambito dei suoi compiti istituzionali, modificando in modo significativo il proprio orientamento rispetto al 2018, riconosce la correttezza di tale impostazione.

Il 23 dicembre il dlgs 201/2022 “Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica” considera all’art. 18 gli istituti dell’amministrazione condivisa tra le opzioni a disposizione degli enti locali per realizzare tali servizi. Tale atto è stato approfondito su Welforum da Alceste Santuari; in questa sede ci si limita a notare che:

  1. La previsione sopra citata fa parte di un più ampio processo di diffusione del tema dell’amministrazione condivisa nella produzione normativa;
  2. indica una direzione importante per affrontare uno dei temi critici di cui si dirà dopo, cioè le questioni relative alle spese ammissibili in una co-progettazione, indicando, con una significativa evoluzione rispetto ad un dibattito che nei mesi scorsi ha talvolta sollevato dubbi applicativi circa il concetto di gratuità (si veda in proposito questo articolo di Santuari), l’ammissibilità dei costi “variabili, fissi e durevoli”.

Infine, va registrato un importante processo di diffusione operativa dell’amministrazione condivisa in più ambiti, dal fondo povertà al Pnrr, ad altri fondi di diversa origine gestiti sia a livello di Stato centrale che a livello Regionale, dove si prevede di coinvolgere il Terzo settore nell’attuazione delle relative misure attraverso gli strumenti dell’amministrazione condivisa.

Si rimanda invece ad una prossima analisi l’attesa conclusione della vicenda del nuovo Codice dei contratti pubblici, che all’art. 6 cerca, in modo non troppo felice – Welforum ne ha parlato qui, relativamente ad una prima bozza di testo – di intervenire in tema di coordinamento con il codice del Terzo settore. Il testo attualmente in discussione appare migliorato rispetto a quello oggetto delle critiche su Welforum, ancorché ancora non del tutto soddisfacente (si veda il commento di Luca Gori su cantiereterzosettore.it).

Ciò premesso, come si scriveva in apertura, il vero fronte aperto non riguarda oggi le norme, ma le pratiche. L’amministrazione condivisa si è diffusa, le pratiche – soprattutto co-progettazioni – sono oggi centinaia e fanno emergere i punti positivi e le criticità da affrontare.

Non a caso il 2023 sarà – e questa è la prima novità – l’anno delle ricerche empiriche. Ad oggi non è nemmeno noto quanti siano in Italia i casi di amministrazione condivisa, come siano distribuiti territorialmente, se siano co-programmazioni o co-progettazioni, se riguardino il welfare o altri settori di interesse generale, ecc. Si ha notizia di diversi lavori in corso, in stato più o meno avanzato, da parte di Irs sulla Lombardia, Forum del Terzo settore, Euricse, Umana Persone e le centrali cooperative in Toscana, Terzjus e non si esclude ovviamente che altri soggetti stiano lavorando su progetti di ricerca che partono dall’analisi di casi. Ricerche empiriche, che possono contenere alcuni aspetti di analisi giuridica, ma poi si concentrano sullo studio di esempi di co-programmazione o di co-progettazione dal punto di vista delle dinamiche che hanno caratterizzato i tavolidei risultati effettivamente conseguiti nella realizzazione delle attività, sulle valutazioni offerte dai diversi attori coinvolti, ecc. Nel corso del 2023 avremo quindi un primo quadro, frutto di questi lavori, che ci restituirà in primo luogo un quadro di sintesi sui numeri generali del fenomeno, e probabilmente ci aiuterà a comprendere meglio cosa sta funzionando e cosa ancora stenta nelle pratiche di amministrazione condivisa. Buone prassi portate ad esempio da una parte, indicazioni degli aspetti critici dall’altra, costituiscono una chiave di lettura che è possibile applicare a questi lavori.

Rimandando ad un’analisi di queste ricerche una valutazione più compiuta degli esiti, è ad oggi possibile quantomeno identificare alcuni degli aspetti su cui si concentrano i lavori, con particolare riferimento alle criticità che pare più urgente affrontare. In sintesi, e senza pretesa di completezza, alcuni degli aspetti delicati – in gran parte già oggetto di discussione sulle pagine di Welforum – possono essere così riassunti:

  • vi sono troppe co-progettazioni che assomigliano pericolosamente ad appalti: formano i tavoli attraverso procedure improntate alla competizione e con significative barriere per l’ammissione ai tavoli, si svolgono a partire da un quadro che l’amministrazione redige in modo dettagliato, troppo simile ad un capitolato di appalto;
  • si lamenta, soprattutto da parte delle imprese sociali, che le co-progettazioni vengano utilizzate per porre in capo al Terzo settore oneri insostenibili, generalmente per una discutibilissima concezione del cosiddetto “co-finanziamento”: in sostanza enti pubblici che diminuiscono le risorse, disinvestono, nell’aspettativa che il Terzo settore debba trovare “risorse proprie” per colmare il ritiro delle responsabilità pubbliche;
  • in parte connesso a ciò, emerge la necessità di individuare forme di rendicontazione che siano tutelanti ma non troppo onerose e che non introducano nei fatti limitazioni non ragionevoli al riconoscimento dei costi sostenuti. È uno degli aspetti su cui pare più urgente la definizione di linee guida che diano certezza a tutti i soggetti coinvolti;
  • sempre sul fronte del procedimento, emerge la necessità di mettere a punto taluni aspetti specifici che talvolta generano incertezze applicative: ad esempio l’inquadramento della privacy a fronte della tendenza dei contesti collaborativi a condividere informazioni sui destinatari o la relazione tra assetto “orizzontale” della convenzione che regola i rapporti tra partner e le responsabilità istituzionali della pubblica amministrazione;
  • è necessario valorizzare da una parte l’autonomia degli enti e dall’altra accumulare buone prassi che è utile considerare nel momento in cui si definiscono le caratteristiche di un procedimento;
  • sicuramente sarebbe molto utile sedimentare e diffondere competenze sulle strategie e sulle tecniche di conduzione dei tavoli, dove talvolta sembra essere richiesto un impegno sproporzionato rispetto alle risorse disponibili e dove si rischia di dedicare tempo ed energie con risultati talvolta inconcludenti o comunque producono esiti non dissimili da quanto già fatto in passato (vedi anche questo articolo di Ugo De Ambrogio);
  • è urgente inquadrare correttamente il tema della coprogettazione nel welfare consolidato, in interventi quindi che in precedenza erano gestiti tramite affidamenti in appalto, ma rispetto a quali si ritiene utile intraprendere forme di relazione collaborative;
  • sarebbe di grande utilità individuare e diffondere modelli di percorso che concilino esigenze di cogliere in forme collaborative opportunità specifiche – si pensi a bandi di fondazioni, al Pnrr, ecc. – che spesso richiedono tempi ristretti, con le esigenze di una collaborazione di qualità; una direzione in cui ricercare soluzioni potrebbe essere la combinazione di una co-programmazione che dia obiettivi e strategie di lungo periodo e la creazione, attraverso procedure di evidenza pubblica aggiornate periodicamente, di elenchi di enti del Terzo settore attivabili nell’immediato su progetti coerenti con le predette strategie;
  • quanto sopra richiama un’altra questione rilevante: la presenza ancora molto limitata, seppure in lieve crescita, delle co-programmazioni. È evidente la necessità di sviluppare, tanto negli enti pubblici, quanto nel Terzo settore, una maggiore consapevolezza sul tema.

Accanto a ciò è sempre più evidente la necessità di collocare gli istituti dell’amministrazione condivisa in un sistema di relazioni collaborative e in un quadro culturale dove la propensione a cooperare sia condivisa e consolidata: in altre parole, emerge da una parte la problematicità dei casi in cui l’amministrazione condivisa è inquadrata come mera soluzione di tecnica giuridica, senza i necessari presupposti di consapevolezza e dall’altra le buone prassi in cui gli strumenti giuridici del codice del Terzo settore rappresentano una traduzione di un modo di amministrare la cosa pubblica attento a stimolare e valorizzare la partecipazione e l’ascolto dei cittadini e dei destinatari (vedi questo articolo di Luca Fazzi).

Si tratta quindi – e questa è un’altra sfida – di creare ecosistemi collaborativi in cui la singola esperienza di amministrazione condivisa può collocarsi in modo coerente; questo riguarda tanto gli istituti collaborativi formali – la presenza di un regolamento sui rapporti con il Terzo settore, di luoghi di confronto permanente come consulte o altri organismi, l’interazione con il Terzo settore sugli atti di programmazione degli enti (vedi anche questo articolo) – quanto le pratiche sociali di ascolto, confronto, partecipazione, ricerca, valutazione, la formazione comune, ecc. che rappresentano la sostanza delle relazioni collaborative. Generalmente questo porta all’adozione di una pluralità di strumenti – quali i patti di collaborazione o le pratiche di coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni pubbliche – che completano gli strumenti dell’art. 55 del codice del Terzo settore

A questo proposito, è utile sottolineare come l’amministrazione condivisa abbia la necessità di alimentare le conoscenze a disposizione con iniziative costanti di ricerca e approfondimento che diano voce a cittadini e destinatari dei servizi, così che il procedimento – che necessariamente avrà durata limitata – abbia alla base anche punti di vista non istituzionali e inediti, che arricchiscono il quadro di partenza su cui progettare. Immaginiamo di co-programmare le politiche giovanili: che risultato otteniamo se a parlarne sono solo ultracinquantenni? Se quindi il lavoro dei tavoli non ha alla base un’opera di ascolto dei giovani stessi e delle loro forme aggregative? Insomma, il processo può essere anche ben fatto, ma se si fonda su base materiale non adeguato si rischia di deprimerne il potenziale innovativo.

Ancora, vanno segnalati tre ambiti poco praticati, che evidenziano una ancora parziale consapevolezza culturale circa questo tema: la scarsità di casi in cui l’amministrazione condivisa nasce da istanze di parte del Terzo settorei casi ancora relativamente limitati – seppure in chiara crescita – in cui l’amministrazione condivisa è utilizzata al di fuori dell’ambito welfare; la minore applicazione degli istituti dell’amministrazione condivisa da parte di enti pubblici diversi dai comuni e dalle loro forme associative; un più ampio e consapevole utilizzo dell’amministrazione condivisa nel centro sud, dove essa non è affatto assente, ma sicuramente appare un passo indietro rispetto al nord del paese. Non si tratta di un mero auspicio di crescita numerica, ma di diffusione di cultura, competenze e atteggiamenti dove oggi sono meno sviluppati.

E infine, va ricordato che queste trasformazioni nelle priorità e nel modo di agire non lasciano indifferenti le organizzazioni, pubbliche e di Terzo settore, che ne sono coinvolte. Culture organizzative, stili di leadership, modelli decisionali, professionalità, ecc. sono diversi in organizzazioni orientate alla competizione di mercato e alla collaborazione. Se le organizzazioni non evolvono al proprio interno, difficilmente saranno protagoniste convinte e coerenti di un contesto radicalmente rinnovato.

Tra gli strumenti che possono portare ad evoluzioni positive, oltre alla formazione comune e all’azione culturale, vi è una delle novità attese per il 2023: il neo costituito osservatorio sull’amministrazione condivisa, di cui si attende l’inizio dell’operatività nel corso del 2023, che auspicabilmente potrà assumere un ruolo rilevante sia sul fronte della conoscenza del fenomeno, sia dell’individuazione di buon prassi e criticità e di predisposizione di strumenti – da una cassetta degli attrezzi con modelli dei diversi atti del procedimento, ai modelli di regolamento –  passaggio necessario per la diffusione di un’amministrazione condivisa di qualità.

Fonte: Cantiere Terzo Settore

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