Intervista alla psichiatra Laura Dalla Ragione: “In arrivo a settembre le linee guida sulla riabilitazione alimentare redatte dal ministero della Salute e ora al vaglio della Conferenza Stato-Regioni”. Oggi il World Eating Disorders Action Day, giornata mondiale per il contrasto dei disturbi del comportamento alimentare.
ROMA – Il 2 giugno, è il World Eating Disorders Action Day, Giornata mondiale per il contrasto dei disturbi del comportamento alimentare (Dca), nata per volontà di genitori, familiari, esperti e professionisti per avanzare nella comprensione di questo tipo di malattia di cui i volti più noti sono anoressia nervosa e bulimia ma che ha molteplici sfaccettature. Una malattia grave, ma curabile, che nasce nella psiche e si serve del corpo per esprimere una sofferenza profonda. Lo scopo della Giornata è, come spiegano i promotori, quello di “unire professionisti, genitori, tutori e coloro che sono colpiti personalmente per promuovere la conoscenza, in tutto il mondo, di questi disturbi e la necessità di un trattamento completo”.
Facciamo il punto sui Dca in Italia con Laura Dalla Ragione, psichiatra responsabile di una delle prime strutture residenziali in Italia per i disturbi dei Dca, quella di Todi nata quasi 15 anni fa, referente della gestione del numero verde nazionale SOS Disturbi alimentari (800 180 969) della presidenza del Consiglio dei ministri e presidente Siridap, Società italiana riabilitazione disturbi del comportamento alimentare e del peso. “In Italia ci sono tre milioni di persone ammalate di disturbi del comportamento alimentare – esordisce Dalla Ragione – e l’anoressia è ancora la prima causa di morte dopo gli incidenti di auto nella fascia giovanile atra i 16 e i 22 anni”. Emergono “l’abbassamento dell’età di esordio a 9-10 anni” e “la presenza di molti maschi”.
Dottoressa Dalla Ragione, a fronte di 3 milioni di persone ammalate, quale è oggi la situazione italiana per quanto riguarda l’assistenza e il trattamento?
La situazione per quanto riguarda l’assistenza è drammatica, con regioni dove sono completamente assenti le strutture di cura. Molte regioni in questi anni hanno avviato tavoli tecnici e redatto linee guida come Marche, Lazio, Sicilia, ma dal punto di vista della realizzazione pratica si è molto indietro. I centri per il trattamento ora sono circa 140, fino a qualche tempo fa ne contavamo 166 ma alcuni sono stati cancellati dalla lista dopo che le famiglie ci hanno segnalato servizi non veritieri, dove magari c’era solo uno psicologo a disposizione e solo in alcuni giorni. Si stenta a mettere in piedi percorsi completi di assistenza. I Dca esigono un approccio terapeutico multidisciplinare, dove sono coinvolte figure che vanno dallo psicoterapeuta al nutrizionista al pediatra, dove ci sono centri diurni e strutture residenziali per la degenza. Solo 11 regioni in Italia hanno una rete completa, ad esempio l’Umbria e il Veneto. Teoricamente anche il Lazio, che però ha una rete insufficiente, per di più ha una struttura ‘mista’, cui accedono cioè pure pazienti con diverse patologie psichiatriche. Un altro aspetto problematico è che la maggior parte delle strutture non accoglie pazienti sotto i 14 anni. In Umbria siamo riusciti a creare una rete molto efficace che si compone della struttura residenziale di palazzo Francisci a Todi (lunedì 5 giugno il ministro Lorenzin la visiterà, nell’ambito di una visita ad altre strutture sanitarie della regione) e del “Nido della rondine”, centro diurno che accoglie con un programma specifico 17 pazienti meno gravi, del centro Dai, Disturbi da alimentazione incontrollata, di Città della Pieve e di un centro a Umbertide per i disturbi nell’infanzia. Il Veneto ha una rete analoga.
Il modello di assistenza italiano è stato anche esportato.
Nel 2013 a Malta, con la supervisione della Usl 1 dell’Umbria, abbiamo realizzato una start up e fatto formazione. E’ stato più agevole in un contesto in cui ci sono più mezzi e meno burocrazia.
Le terapie fanno registrare oggi maggiori successi, e si può parlare di malattia “curabile”. Quale evoluzione c’è stata?
Le tecniche nuove includono la famiglia più di quanto sia stato fatto in passato: c’è l’addestramento della famiglia alla gestione del pasto con il paziente, specie nel caso di minorenni. Una tappa del percorso è il pranzo con terapeuta e familiari. Anche il metodo psicologico dell’Emdr (Eye Movement Desensitization and Reprocessing, utilizzato per il trattamento del trauma e di problematiche legate allo stress traumatico, ndr) risulta molto efficace perché una delle componenti ricorrenti nei Dca è la presenza di un trauma. Inoltre, tutte le terapie cognitivo-comportamentali si sono ancora raffinate e messe a punto. Il ministero della Salute ha redatto le linee guida sulla riabilitazione alimentare: ora il documento sta passando in Conferenza Stato-Regioni e potrebbero essere varate a settembre.
Di anoressia però si continua a morire, nonostante il miglioramento delle terapie.
Nel 2016 i dati sulla mortalità sono aumentati rispetto ai due anni precedenti. Muoiono le persone che si sono ammalate 15 anni fa e che si sono cronicizzate. Nei casi di anoressia e bulimia croniche è del 20% in più la possibilità di morire di complicanze, come ad esempio quelle renali e altre legate alla malnutrizione; un’altra causa di morte è il suicidio.
Sui Dca c’è un filone di ricerca genetica sui “predittori precoci”. Si può parlare di predisposizione ad ammalarsi?
Sono in corso alcune interessanti ricerche, per esempio a Napoli. A Perugia, l’università degli studi sta conducendo una ricerca con il professor Tommaso Beccari, docente di biochimica. E’ stata creata una banca dati con 500 pazienti e utilizzati marcatori per studiare se esiste vulnerabilità genetica. Non si può parlare di ereditarietà ma di una maggiore ereditarietà che, con cause ambientali, fa emergere delle costanti, specie per quanto riguarda l’anoressia.
Può tracciare un bilancio del numero verde nazionale SOS Disturbi alimentari, a circa 7 anni dalla sua istituzione?
Dal 2010 le persone che si sono rivolte al numero verde sono 6.490. Hanno chiamato prevalentemente dalle regioni del sud Italia. Moltissimi i familiari, gli amici di persone malate, quindi medici e pazienti. (ep)
Fonte Redattore Sociale