A seguire le dichiarazioni di Emma Cavallaro, Presidente nazionale della ConVol (Conferenza Permanente delle Associazioni, Federazioni e Reti di Volontariato) in relazione all’audizione nella XII Commissione Affari sociali della Camera dei Deputati sullo schema di decreto “Codice del Terzo Settore”, uno dei decreti attuativi della riforma del terzo settore.
Con riferimento allo schema di Decreto legislativo recante “Codice del terzo settore”, sono molte le voci, e noi siamo tra quelle, che si sono alzate in Italia per contestare una bozza di normativa che sembra in più punti contrastante con la Legge 106/2016 e, talvolta, anche con la Costituzione e con il principio del pluralismo del Terzo settore.
C’è nell’impostazione generale del Decreto una logica verticistica e centralistica che è totalmente in opposizione a quella che guida il volontariato organizzato presente, operante e radicato sul territorio, che invece procede dal basso verso l’alto, perché solo così si verificano realmente sul territorio esigenze, bisogni e diritti negati o violati e si possono dare risposte adeguate.
Nonostante tutto l’impianto sia, secondo noi, discutibile vogliamo fare un ultimo tentativo per cercare almeno di correggere una riforma che – attesa da tempo – rischia di provocare la delusione di molta parte del volontariato organizzato.
1. Interesse generale: che fine fanno la cittadinanza attiva ed il volontariato di advocacy?
Per quanto concerne l’articolo 5 che elenca le attività considerate di interesse generale, queste sembrano essere ispirate e riferite più alla concezione di un volontariato erogatore di servizi che al volontariato di advocacy ed impegno per il rinnovamento e il contrasto all’emarginazione sociale che ormai costituisce una realtà da tempo presente ed operante nel nostro Paese.
Una stessa attività può essere o meno di interesse generale anche in relazione ai destinatari e al contesto in cui si opera.
In questo modo, potrebbe accadere che non possano iscriversi ai registri del Terzo settore organizzazioni che operano secondo l’articolo 118 u.c. della Costituzione.
L’elenco pertanto è da rivedere e completare.
2. Rimborsi forfettari: una violazione della gratuità ed un attacco alla legalità e alla dignità del lavoro
Il punto che più ci preoccupa è quello che si riferisce alla “gratuità”.
Nel Decreto al comma 3 dell’art. 17 si afferma che “sono in ogni caso vietati rimborsi spese di tipo forfetario” e successivamente al comma 4 si sostiene che “le spese sostenute dal volontario possono essere rimborsate a fronte di autocertificazione purché non superino i 10 euro giornalieri e 150 euro mensili”.
Difficile sostenere che questi non siano rimborsi forfettari!
All’articolo 33 comma 3 si legge “Per l’attività di interesse generale prestata, le organizzazioni di volontariato possono ricevere dai diretti beneficiari o da terzi ….. soltanto il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate”. Qui si introduce l’idea e molto più che un’idea che le odv possano essere rimborsate delle spese sostenute per i servizi prestati dai fruitori dei servizi stessi e ciò è in totale contraddizione sia con la gratuità che con il comma 3 dell’art. 17 che recita “l’attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario”.
Sappiamo tutti che a volte queste rivendicazioni della gratuità come segno distintivo del volontariato organizzato appaiono ad alcuni rivendicazioni di tipo elitario.
Ma la gratuità non è solo il segno distintivo del volontariato organizzato e valore sul quale non sono possibili mediazioni ma è anche una garanzia di legalità, il rischio è quello di utilizzare il termine “volontariato” in modo da favorire situazioni di illegalità che vogliono coprire lo sfruttamento di veri e propri lavori in nero e sottopagati.
Chiediamo la cancellazione di questo comma.
3. Negata la qualifica di volontario a chi ricopre cariche sociali nelle OdV
Il comma 6 dell’art. 17 afferma che “non si considera volontario l’associato che eserciti gratuitamente una carica sociale”.
Nella esperienza concreta, molte organizzazioni di volontariato piccole e grandi fondano le loro capacità organizzative sulla disponibilità gratuita di presidenti e consiglieri, che dedicano tanto tempo ed energie a facilitare e rendere possibile l’impegno degli altri volontari. È un volontariato funzionale alla realizzazione della mission e quindi non ha meno valore di quello teso ai servizi e alle attività concrete che per altro presidenti e consiglieri continuano a svolgere.
Negare che queste persone abbiano lo status di volontario è una incongruenza da superare.
Chiediamo di cancellare questo comma, anche perché in aperto contrasto con il successivo articolo 34.
Insieme a questi punti che riteniamo fondamentali vogliamo ricordare ancora altri aspetti della proposta di Decreto, che ci lasciano perplessi.
• All’art. 32, comma 2, l’ipotesi che enti del Terzo settore diversi dalle organizzazione di volontariato possano diventare soci di altre odv con Il limite del 30%. Siamo contrari e ne chiediamo la cancellazione.
• All’art. 59, comma 3, si prevede che la partecipazione dei componenti effettivi alle attività del Consiglio nazionale del Terzo settore non dia diritto non solo a compensi di alcun tipo, cosa assolutamente condivisibile, ma neppure al rimborso delle spese. I componenti del Consiglio del Terzo settore dovranno operare a tutela ed in rappresentanza di tutti gli enti del Terzo settore italiano, perciò chiediamo che sia loro riconosciuto il diritto al rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate per la partecipazione alle attività.
• L’art. 60 definisce i compiti attribuiti al Consiglio nazionale del Terzo settore. Al di là della specifica formulazione, ci sembra che l’insieme dei compiti previsti (pareri non vincolanti anche se obbligatori), mortifichi molto la funzione di questo organismo ed esprima una idea molto riduttiva del contributo che le organizzazioni della società civile possono offrire alla definizione delle scelte pubbliche, secondo il principio della partecipazione.
• Il Capo II dello Schema di Decreto definisce il sistema dei Centri di servizio per il volontariato. A questo proposito, ribadiamo quanto più volte affermato nei mesi scorsi: l’impianto complessivo ci appare eccessivamente centralistico e burocratico, ponendo nelle mani di organismi nazionali poco rappresentativi il controllo di un sistema nato per esprimere la responsabilità di autogoverno del volontariato a livello territoriale. Inoltre, l’apertura dei servizi dei Csv anche ad enti di Terzo settore diversi dalle organizzazioni di volontariato – a parità di risorse – determinerà una drastica riduzione di opportunità proprio per quei soggetti del volontariato organizzato al servizio dei quali i Centri di servizio sono stati istituiti dalla legge 266/91.
Infine vorremmo ricordare che esiste la libertà di associazione e che troppi e pesanti vincoli organizzativi e burocratici possono da un lato condizionarla e dall’altra indurre molte piccole organizzazioni di volontariato a rimanere fuori dal Terzo settore.