Dipingono il volto dell’Italia solidale e socialmente attiva, quella che in prima persona “si mette alla prova” aprendo le porte delle proprie associazioni a chi è alle prese con la giustizia, seppure per reati minori: sono i numeri che caratterizzano a livello nazionale la messa alla prova e i lavori di pubblica utilità, due istituti sui quali non tutti inizialmente avevano creduto e che invece registrano un aumento esponenziale che stupisce perfino gli addetti ai lavori. 511 i casi nel 2014, anno in cui è entrata in vigore la legge sulla messa alla prova, quasi 40 mila (39.350) quelli presi in carico nel 2019: con una linea che emerge in verticale su tutte le altre all’interno del grafico che disegna l’andamento delle misure e della sanzioni di comunità. Poco più di 800 i procedimenti in carico agli uffici di esecuzione penale esterna per i lavori di pubblica utilità nel 2011, 17.511 quelli del 2019.
Riservata a chi per la prima volta commette un reato con pene edittali fino a 4 anni, la messa alla prova (Map) è rivolta agli imputati e prevede la sospensione del procedimento, con alleggerimento dei carichi di lavoro per i tribunali ordinari e la possibilità di evitare una condanna per la persona sotto processo. Mentre il lavoro di pubblica utilità (Lpu) coinvolge i condannati (per reati connessi al testo unico sugli stupefacenti o legati alla violazione del codice della strada) e consente di scontare la pena impegnandosi in opere a favore della collettività. Entrambi gli istituti prevedono lo svolgimento di ore di lavoro non retribuito all’interno di strutture convenzionate con il ministero.
E tra il tribunale che può applicare l’una o l’altra misura e le associazioni di volontariato o gli enti nazionali che accolgono imputati e condannati, c’è l’attività del Dipartimento per la Giustizia minorile e di Comunità a tessere i contatti affinché la rete pronta ad accogliere un numero di persone perennemente in aumento abbia maglie sempre più fitte in grado di raggiungere anche il più piccolo paesino di provincia. E, nello stesso tempo, di offrire collaborazioni capaci anche di abbattere la recidiva e prevenire i reati.
I dati elaborati dal Dipartimento parlano di 18.214 persone in carico per la messa alla prova (al 15 gennaio 2020), con una netta presenza maschile: 15.339 uomini e 2.875 donne. Mentre su un totale di 8.331 persone condannate ai lavori di pubblica utilità, 7.460 sono uomini e 871 donne. Le convenzioni promosse dal Dipartimento sia per lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità da parte degli imputati “messi alla prova” che dei condannati agli Lpu, al 31 dicembre 2019 sono state 7.255 con una ripartizione geografica che vede il nord Italia in testa con il 47% del totale, seguito dal centro (28%) e dal sud (25%). Il nord si caratterizza anche per il numero prevalente di convenzioni sottoscritte con gli enti pubblici (1.890) rispetto a quelle con enti non profit (1.554), che invece vedono un trend diverso nelle altre macroaree in cui le convenzioni con enti non profit (1.311 al centro e 1.050 al sud) prevalgono su quelle che coinvolgono enti pubblici (717 al centro e 733 nel sud Italia).
Venezia, ufficio interdistrettuale che comprende Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, è in testa alla classifica delle convenzioni sottoscritte dai tribunali del proprio territorio di competenza per entrambi gli istituti con un totale di 1.329, seguita da Milano (Lombardia) 1.221, Torino (Valle d’Aosta, Piemonte e Liguria) 894, Roma (Lazio, Abruzzo e Molise) 763, Bologna (Emilia Romagna e Marche) 682 e Firenze (Toscana e Umbria) 583. Fanalino di coda Catanzaro (Calabria) con 123 convenzioni attivate, preceduto da Napoli (Campania) 213, Palermo (Sicilia) 432, Bari (Puglia e Basilicata) 503 e Cagliari (Sardegna) 512.
“Quello che registriamo è un dato non del tutto soddisfacente, perché le potenzialità dei due istituti sono tali che meriterebbero una risposta ben più corposa, però il trend è in soddisfacente aumento – commenta il capo dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità, Gemma Tuccillo -. I numeri ci dicono che il percorso intrapreso è quello giusto e gli accordi sottoscritti con organismi nazionali ci permettono di rendere ancora più capillare la possibilità di accesso. Ed è questo uno dei nostri maggiori obiettivi. Il bilancio odierno rappresenta uno stimolo per proseguire in questa direzione”.
A oggi risultano stipulate convenzioni nazionali con la Croce Rossa Italiana per 634 posti, l’Ente nazionale protezione animali per 300 posti, l’Istituto Don Calabria per 53 posti, il Fondo Ambiente Italiano per 41 posti, la Lega Italiana Lotta ai Tumori per 31 posti, l’Associazione Familiari Vittime della Strada – Basta sangue sulle strade onlus per 20 posti, l’Unione sportiva Acli per 29, Legambiente per 17 posti. Convenzioni che rendono disponibili complessivamente 1.057 posti per lo svolgimento del lavoro in favore della collettività. “Cifre più che raddoppiate rispetto allo scorso anno – commentano dal Dipartimento – e destinate ad aumentare con il consolidarsi della collaborazione e al virtuoso dispiegarsi delle attività”.
Sono tanti anche i Centri di servizio che in tutta Italia in questi anni hanno svolto un ruolo di ponte tra gli Uffici di esecuzione penale esterna e le associazioni locali disponibili ad accogliere persone interessate da queste misure alternative al carcere. Molti infatti sono quelli che hanno siglato specifici accordi con gli Uepe del proprio territorio di riferimento.
Per quanto riguarda, invece, i protocolli d’intesa nazionali, si registrano due importanti accordi sottoscritti rispettivamente con l’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti, che ha favorito la stipula a livello locale di numerose convenzioni per lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità sia nell’ambito della sospensione del procedimento con messa alla prova per adulti, sia nell’ambito dell’infrazione al codice della strada, e, nel novembre scorso, con la Caritas Nazionale, con circa 65 convenzioni stipulate dai tribunali a livello locale. A questi si aggiunge un primo protocollo stipulato nel 2016 con l’associazione ”Libera” contro le mafie, dal quale sono scaturite a livello locale diverse forme di collaborazione con gli uffici di esecuzione penale esterna per la promozione del lavoro di pubblica utilità e di programmi di giustizia riparativa, specialmente nell’ambito della messa alla prova.
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