Bambini-soldato, una vergogna da non dimenticare

Il 12 febbraio è il “Red Hand Day”, la Giornata mondiale contro lo sfruttamento dei minori costretti a combattere e sacrificati in conflitti annosi, dalla Siria allo Yemen. Che ancora oggi secondo l’Onu sono circa 250mila.
Il fucile sulle spalle e i piedi sui pedali della piccola bicicletta. Vederlo sbucare in quella stretta stradina di sampietrini del centro storico di Aleppo, tra mura antiche e spesse, su cui erano arrampicati uomini armati che si stavano sparando a vicenda, fu come ricevere un pugno in faccia. Quell’immagine era un ossimoro vivente; da un lato un bambino, col viso ancora libero da ogni accenno di barba, dall’altro quell’arma indossata con sicurezza, insieme a un gilet carico di munizioni. In quella giornata di violenze mi trovai davanti un cosiddetto bambino-soldato; leggerne è un conto, trovarcisi faccia a faccia fu tutt’altra cosa. La sua postura, il suo sguardo, le sue parole erano la fotografia del fallimento del mondo degli adulti, incapaci di tutelare i bambini e tenerli lontani dalle violenze, anzi, pronti a sacrificare l’innocenza dei più deboli per i propri scopi. Sono passati otto anni da allora e non è stato possibile sapere se quel bambino, che all’epoca aveva sì e no undici anni, sia ancora vivo o sia caduto combattendo una guerra che gli aveva già portato via la famiglia, ma di cui non aveva alcuna consapevolezza. Raccontò di essersi arruolato perché ormai era un uomo e doveva provvedere a sé stesso, guadagnarsi da vivere, essere utile. La scuola? Era stata bombardata anche quella e “orami sapeva leggere e scrivere”. Alla mia domanda, se avesse già usato quell’arma contro qualcuno, rispose, senza mai scendere dalla bicicletta, quasi con un tono di sfida, che lui era un soldato, e i soldati sparano.
Nella Giornata mondiale contro l’uso dei bambini-soldato, anche detta Red Hand Day, istituita il 12 febbraio 2002 dall’Assemblea delle Nazioni Unite, con la ratifica a oggi da parte di 153 Paesi del “Optional Protocol to the Convention on the Rights of the Child on the involvement of children in armed conflict”, riflettere su questo tema è un dovere civile ed etico. Secondo l’Onu, in almeno in 14 Paesi, circa 250mila bambini e bambine sono costretti a combattere.
Secondo un report del Segretariato generale delle Nazioni Unite sui bambini e i conflitti armati, pubblicato il 9 giugno del 2020, ben 820 bambini sono stati arruolati in Siria negli ultimi anni, 557 sono quelli rimasti mutilati. Secondo la stessa fonte, «Gli incentivi utilizzati per incoraggiare i bambini a entrare nell’esercito sono i salari, le ideologie e l’influenza della famiglia o della comunità. Anche le ragazze si uniscono a questi gruppi armati e cercano di sfuggire agli abusi o ai matrimoni combinati».
Il report “No place for children”, pubblicato dall’Unicef già nel 2016, evidenziava che «alcuni bambini-soldato in Siria ricevono stipendi fino a 400 dollari al mese. Le famiglie prese di mira dai reclutatori sono in genere povere e si sa che i reclutatori promettono di pagare e vestire i bambini per il loro arruolamento». Nessuna delle parti che hanno preso parte al conflitto ha evitato l’arruolamento dei bambini: il governo siriano, sebbene la legge ponga l’età minima per il servizio militare a 18 anni, le Syrian Democratic Forces (Sdf, la componente curdo-araba in prima fila contro l’Isis), i ribelli confluiti nel Free Syrian Army (inizialmente composto da militari disertori anti-regime e poi allargato a civili che hanno imbracciato le armi, con il sostegno del governo turco). Anche in questo quadro drammatico, l’Isis ha avuto un ruolo predominante, con la riduzione in schiavitù, solo nel 2015, di 3500 tra donne e bambini, e tra questi bambini molti sono stati costretti a imbracciare le armi.
Siria, ma non solo. Molti bambini nati in contesti ostili, che non hanno mai vissuto un giorno di pace, sono impiegati, sacrificati bisognerebbe dire, in annosi conflitti in Paesi come il Sud Sudan, la Repubblica Democratica del Congo, la Nigeria, la Libia, la Somalia, l’Afghanistan, il Myamar, le Filippine, lo Yemen, l’Iraq, la Colombia.
Secondo le Nazioni Unite nel mondo ci sono 56 gruppi armati e sette eserciti regolari che reclutano bambini. Un dato che non viene trattato come emergenza, ma che lo è a tutti gli effetti. di Asmae Dachan
Fonte: www.vita.it

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