Borgomeo: «Se affonda il Sud, affonda tutto il Paese»

Per la Svimez bisogna tornare a una visione unitaria della stagnazione italiana, smarcandosi dalla lettura dell’aumento delle disuguaglianze esclusivamente legata al confine tra Nord e Sud. Ne parliamo con il Presidente della Fondazione CON IL SUD, che spiega:« bisogna passare dal paradigma della solidarietà a quello della convenienza»
Dove va il Sud del Paese? Verso lo spopolamento, dentro una crisi che sembra senza uscita. I dati del Rapporto Svimez 2019, presentati ieri, lo attestano irrevocabilmente. Il punto finale sulla drammatica vicenda dell’Ilva di Taranto lo conferma. Abbiamo chiesto a Carlo Borgomeo, Presidente della Fondazione CON IL SUD, tra i più attenti osservatori delle dinamiche socio-economiche del nostro Paese, di aiutarci a capire.

Un commento a caldo sui dati Svimez…
Il commento è che la giornata di ieri è stata una specie di incredibile sequela di eventi: in mattinata lo scenario preoccupante presentato dal Rapporto Svimez e in serata la conclusione amara della vicenda dell’Ilva. I dati della Svimez non fanno che confermare, anzi accentuare le preoccupazioni che tutti avevamo. Noto con piacere – anche se “piacere”, vista la situazione generale, è termine quanto meno dissonante – che la Svimez comincia a mettere in luce anche i dati sul sociale. Oltre a quelli dedicati a Pil e occupazione, nel Rapporto c’è un capitolo specifico dedicato al sociale.

Perché sono importanti quei dati?
Perché ci fanno cogliere a pieno la portata del divario Nord-Sud partendo dai diritti di cittadinanza. Leggere a fondo questo elemento può orientare politiche specifiche che non siano solo di assistenza al reddito o di sviluppo industriale, politiche comunque necessarie.

Naturalmente, quando si parla di interventi da fare al Sud si può partire con una sequela pressoché infinita…
Esistono però delle priorità, anche in vista del prossimo sessennio di fondi strutturali. Anche qui, bisognerebbe focalizzarsi su specifici obiettivi, non avere cinque aree e centocinquanta sub aree.

Quali sono le priorità?
In primo luogo il sociale, a partire dalla scuola e dalla povertà educativa. Ma non solo quella. Ricordiamoci che ci sono altre emergenze, ad esempio quella delle periferie. Un secondo problema è la mobilità, soprattutto la mobilità interna all’area. Difficile pensare che il Sud si possa sviluppare se da Bari, per andare a Lamezia, bisogna passare per Fiumicino… La terza priorità sono gli investimenti in ricerca. Solo gli investimenti in ricerca possono attrarre giovani, non solo arrestarne la fuga, verso il Sud.
La ricerca permetterebbe dunque di attrarre cervelli..
La ricerca non solo permette sviluppo, ma può trattenere i giovani meridionali e attrarre giovani non meridionali. Oggi, uno dei grandi problemi del Sud è che non attrae.

Però si parla quasi unicamente di esodo…
Su questa storia dell’esodo dobbiamo essere chiari: è gravissima la fuga dei giovani meridionali, ma è altrettanto grave il fatto che siano pochissimi a venire al Sud. Sviluppare la ricerca avrebbe dunque il doppio effetti di trattenere gli uni e attrarre gli altri.

Veniamo all’Ilva, che aggrava un quadro già critico. Come leggiamo quanto accaduto?
Lo leggiamo come un evento ampiamente preannunciato. La sorpresa c’è, ma se guardiamo la dinamica dei fatti non c’è molto da sorprendersi. Dispiace, casomai, che il fattore scatenante siano stata l’iniziativa di alcuni parlamentari locali…

Quindi del Sud…
Parlamentari che hanno ripreso la questione e fatto scattare la scintilla. Ma c’è un punto nel dibattito che si è sviluppato che trovo singolare: qualcuno afferma che questo è un alibi per l’azienda, che in realtà per mille motivi voleva andar via. Ma se fosse davvero un alibi, allora è un’aggravante non un’attenuante per la politica. È sempre errore macroscopico fornire alibi.

C’è una responsabilità molto grave della politica…

Sono molto gravi le contraddizioni della politica di questi ultimi mesi, ma la storia dell’Ilva è una storia di responsabilità pazzesche che si sono stratificate negli anni. Mi chiedo dov’erano le istituzioni, dov’era la Confindustria, dov’erano tutti quando l’azienda girava a pieno regime… Scrivere la storia di questa vicenda richiederebbe un approfondimento vero, molto lungo nel tempo e vedremmo le responsabilità di tanti.

Il Sud è in recessione, il Nord segue un’altra corsia. Il Paese è spaccato…
Il punto vero, ma è difficile convincere l’opinione pubblica su questo, è che quando si parla di Sud non bisognerebbe affidarsi alle categorie della solidarietà e della giustizia, ma alla categoria della convenienza oggettiva.

A meno che qualcuno non pensi che effettivamente si può dividere l’Italia, bisognerebbe che l’intero Paese si convincesse che di questo passo è il Paese intero che affonda e paga un prezzo enorme. Non si può pensare che l’Italia si sviluppi con un Sud ridotto in queste condizioni.

Per questo, un ragionamento sulla convenienza (conviene a tutti) di avere un Sud prospero, anziché parlare di solidarietà può essere un salto di paradigma?
Esattamente.

Il reddito di cittadinanza, che ha interessato molte persone al Sud, va però in un’altra direzione…
Il reddito di cittadinanza ha un vizio iniziale, che è un vizio tecnico indotto dalla politica. Sono assolutamente d’accordo e penso che fosse giusta una misura per il sostegno dei redditi bassi o, meglio, dare un reddito a chi non ce l’ha. Punto. Quando questa misura è stata presentata, c’è stata una rivolta di una componente dell’allora Governo: la Lega, che ha fatto partire la campagna “non diamo i soldi a chi sta sul divano”. A quel punto, è stata fatta una mediazione assolutamente impropria: si è caricato il reddito di cittadinanza di un’altra funzione, che non può avere! Una funzione che compromette anche la prima funzione del reddito di cittadinanza: non si può fare un sostegno al reddito che è contemporaneamente un avvia al lavoro. È una sciocchezza… e si vede. Il punto vero non è che è sbagliato dare un reddito di base a chi non ne ha, questo è giusto e andava fatto. Il punto vero è che sullo stesso strumento sono stati caricati due obiettivi inconciliabili. Ma la mediazione politica non si fa così. Ed è su queste contraddizioni che rischiamo grosso. di Marco Dotti
www.vita.it

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