CATANZARO
L’impegno dei volontari prova a compensare le carenze dell’Asp
Tra dissesti finanziari, situazioni debitorie senza precedenti e irregolarità varie in cui naviga l’Asp di Catanzaro, chi ne paga le conseguenze sono sempre le famiglie che, in fatto di malattie mentali, si trovano sempre più sole a dover gestire situazioni molto pesanti. In questo parapiglia, per fortuna ci sono realtà di volontariato che da anni svolgono un prezioso lavoro di riabilitazione principalmente dal punto di vista sociale. È il caso dell’associazione Ave-Ama (Associazione Volontari Emmanuel – di Auto Mutuo Aiuto) la cui presidente è Ninetta Cristallo che, nonostante anche la chiusura del centro diurno del Csm di Lido, continua insieme ai volontari le attività fungendo da collante territoriale tra persone con malattie psichiatriche e le loro famiglie. «Lavorare con le famiglie è lo scoglio più grande – afferma la Cristallo – perché non hanno consapevolezza di quello che si possa fare per offrire una vita dignitosa ai loro cari e ignorano l’esistenza di strutture territoriali specifiche. Pensano che la soluzione di tutto sia solo nel farmaco o nelle attività di psicoterapia che invece, seppur importanti, dovrebbero essere accompagnate da politiche sociali serie che riescano a integrate la persona nella propria comunità. La chiusura del Centro diurno del Csm di Lido ha destabilizzato numerose famiglie e ammalati anche giovani, che giungevano dai comprensori vicini – aggiunge la Cristallo – . Tutte persone che comunque seguiamo. Non si comprende ancora il motivo di tale decisione. Collaboriamo con tutte le istituzioni territoriali che si occupano di disagio mentale e ci avrebbe fatto piacere essere tenuti al corrente di un provvedimento preso in maniera improvvisa. Ora è rimasto solo il Centro diurno di Bellavista ma gli operatori presenti sono pochi per far fronte alle esigenze del territorio». Da ben cinque anni un notevole aiuto e supporto viene dato dall’Ave-Ama all’interno del servizio di psichiatria di diagnosi e cura (Spdc) dell’ Ospedale Pugliese. «Molto spesso le persone che entrano nell’ Spdc – spiega la Cristallo – dopo il ricovero, non hanno strutture semiresidenziali di riferimento sul territorio. Quindi, al momento delle dimissioni, vengono rimandate nelle famiglie che possono prendersene cura solo per un breve periodo. Spesso li ritroviamo a vagare per strada ma l’alternativa è quella di essere di nuovo ricoverate al Pugliese. Ma questa non è di certo per loro una buona politica di inclusione e poi credo che manchi proprio comunicazione tra Spdc e Csm». Per far capire il concetto di inclusione a fianco all’associazione è nata anche “Fiori del deserto”, rappresentata da Caterina Iuliano e formata da giovani affetti da problemi di salute mentale che si stanno battendo per i loro diritti.
e.s.
Gli stessi pazienticoinvolti in progettidi recupero e inclusione