Condividere. Pensare la comunità futura

 

CONDIVIDERE. PENSARE LA COMUNITà FUTURA

Sabato 6 ottobre si terrà presso la Biblioteca del centro sociale di Villanova di Castenaso ex Casa Sant’Anna, in provincia di Bologna, una giornata di studio dedicata al tema della condivisione. Ne parliamo con l’organizzatore, il professor Pietro Piro

Sabato 6 ottobre si terrà presso la Biblioteca del centro sociale di Villanova di Castenaso ex Casa Sant’Anna, in provincia di Bologna, una giornata di studio pubblica e gratuita dedicata al tema della condivisione. Ne parliamo con l’organizzatore, il professor Pietro Piro.

Perché hai deciso di dedicare energie a questo tema?
Dedicare una giornata a questo tema mi è sembrato quanto mai urgente. Se mi guardo intorno, vedo crescere nella società italiana sentimenti regressivi, la paura è diventata uno strumento di aggregazione sociale e di consenso politico, il risentimento e la guerra tra i poveri sono sempre più virali. Vedo una rabbia a cui è stato indicato un bersaglio, una “soluzione fai da te”.

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Lo spaesamento è sempre più diffuso e ogni identità si sgretola nell’accelerazione continua imposta dal “nuovo” ad ogni costo. Tutta questa instabilità minaccia il nostro vivere comune. In questi giorni, non fa che ritornarmi in mente una frase di Martin Luther King: “Non possiamo vivere a lungo separati spiritualmente in un mondo che è unito dal punto di vista geografico. In ultima analisi, io non devo ignorare l’uomo ferito sulla strada di Gerico della vita, perché egli è parte di me ed io sono parte di lui: la sua agonia mi diminuisce, la sua salvezza mi accresce”.

Credo che non possiamo più continuare a vivere in una società che esclude e che mortifica, che crea vite di scarto e disuguaglianze. Dobbiamo imparare a vivere insieme, a condividere le risorse materiali e quelle spirituali.

Il tema della condivisione non è nuovo. Perché non riusciamo a farlo diventare “virale”? Cosa ci frena?
Padre Ernesto Balducci ci ha insegnato che in questo momento dobbiamo e possiamo scegliere sé dare avvio a una civiltà veramente planetaria, il cui principio sia la diversità nell’uguaglianza e l’uguaglianza nella diversità, oppure, ritornare al culto della razza, alla purezza del sangue, all’idolatria della nazione. Chiuderci nell’idea di un identità definita e aggressiva o aprirci al meticciato, alla contaminazione culturale, alla bio-socio-diversità. Ovviamente, questo passaggio epocale ci spaventa. Anzi, direi di più, ci terrorizza. Allora, corriamo dietro a qualche pifferaio di Hamelin che agita gli istinti più brutali ma che ci rassicura e ci fa sentire ancora “a casa nostra”. Peccato che questa casa oggi sia l’intero Pianeta e che non è più possibile pensarsi se non come uomini planetari, responsabili tanto del nostro quartiere quanto del più sperduto villaggio. L’incapacità di condividere dimostra il nostro attaccamento, la nostra visione ristretta delle relazioni tra i sistemi, tra reti viventi. Piante, animali, esseri umani e tutti i componenti della biosfera condividono molto di più di quello che riusciamo a comprendere. Siamo tutti connessi da energie vitali che ci sostengono e l’agonia di uno diminuisce tutti, mentre il suo benessere ci rinforza tutti. Capisco che questo tipo di ecologia profonda richiede un approccio totalmente nuovo alla realtà. Però, a guardare bene è una saggezza “antica come le montagne”.

Quali piccoli passi possiamo fare per “imparare a condividere”?
Johnny Dotti nel suo recente volume dal titolo Con:dividere, ha sottolineato l’importanza di riconoscere la fragilità come la nostra normale condizione umana. La fragilità è un potere. Solo se partiamo da questo tipo di potere possiamo pensare la condivisione. Quando ci si sente troppo forti, bastanti a se stessi, capaci di vivere senza relazioni, percependo l’altro come un ostacolo e un nemico, allora non ci sono le basi per condividere nulla. La condivisione che non nasce dall’umiltà della limitatezza, della mancanza e del bisogno è sempre forzata. Riesco a condividere quando penso che l’altro può aiutarmi, può essermi d’aiuto per sentirmi completo. Oggi tutti vogliono essere forti, autonomi, indipendenti, competitivi. Allora mi chiedo: questo tipo d’uomo cosa può condividere se tutto gli è dovuto? Ora, qui, è necessario rovesciare la prospettiva, occorre diventare bisognosi. Chiedere, bussare alle porte, condividere la mensa, nutrirsi di speranze…..mobilitare la gioia. Mi rendo conto che dico cose “alla rovescia” ma il super uomo tecno-dipendente non può condividere perché fugge il silenzio e la preghiera. Due basi essenziali per una vera condivisione….

Condividere il silenzio?
Si. Se non impariamo a condividere i silenzi non possiamo neanche accedere a una vera comunicazione. La parola nasce dal silenzio e nel silenzio. In questa società del rumore il silenzio ci è negato come esperienza fondamentale. Allora occorre “entrare in un silenzio” per cominciare a sentire il vero respiro delle cose……della terra tutta…..

Chi saranno gli amici chiamati a condividere questa giornata?
Ho deciso di condividere questa giornata con amici che apprezzo per la profondità del loro pensiero e della loro esperienza di vita: il filosofo Giovanni Nancini, il sociologo e politologo Ruggero D’Alessandro; la saggista Valentina Alberici; il sociologo dell’Università di Ferrara Alfredo Alietti che ha recentemente curato un libro molto importante sul razzismo in Italia; il filosofo Paolo Bonafede; il filosofo Marco Carniello; la studiosa Cristina Coccimiglio; Oreste De Pietro Responsabile dell’Area Welfare di Confcooperative Bologna; la filosofa Silvia Ferrari; il teologo Andrea Franzoni; la sociologa Sonia Gastaldi; la filosofa Claudia Melica; lo psicanalista Maurizio Montanari; l’assessore alla Cultura del Comune di Castenaso Pier Francesco Prata; il teologo e direttore del Giornale di Rodafà Stefano Sodaro; il cooperatore sociale Daniele Steccanella; l’orientalista Aldo Tollini dell’Università Ca’Foscari di Venezia; la capo scout Maria Chiara Tullini; il poeta Gabriele Via e Don Domenico Cambareri teologo e parroco di Villanova. Molti sono gli amici che avrebbero voluto partecipare come relatori ma che non hanno potuto farlo per impegni improrogabili. Mi piace pensare che siamo una piccola comunità che anno dopo anno cresce accomunata dal desiderio di costruire “la comunità che resiste”. Spero possa essere un occasione di vita anche per le persone che verranno ad ascoltarci.

 

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