Crollano i livelli essenziali di assistenza in Calabria: il punto di vista di Guglielmo Merazzi

Riceviamo e pubblichiamo:
La mobilità sanitaria grava sul bilancio regionale della Calabria per circa 300 milioni di euro. Sta a indicare la scarsa qualità dei servizi erogati nella nostra Regione. Del resto tutti i rapporti di cui disponiamo ci pongono costantemente in fondo alla classifica italiana delle condizioni assistenziali. Come d’altronde confermano le proiezioni della Corte dei Conti che ci pongono all’ultimo posto per l’offerta sanitaria, di gran lunga al di sotto della mera sufficienza. Fra il Pollino e lo Stretto nel 2018 si era riusciti a raggiungere quota 162, appena sopra la soglia di adempienza che il Ministero della Salute utilizza per valutare la quantità e la qualità dei Livelli Essenziali di Assistenza. La proiezione per il 2019 fa segnare per questa Regione una cifra molto bassa: 125 rispetto alla “sufficienza” rappresentata da quota 160 di cui alla sperimentazione che il ministero della Salute ha avviato dal 2014 e gli esercizi successivi.
Senza voler escludere pregiudizialmente che nel Sistema Sanitario Regionale sussistano punti di eccellenza e professionalità, il quadro nel suo complesso evidenzia un sistema approssimativo che nega diritti essenziali che finiscono col pregiudicare l’insieme e fa insorgere il sospetto che alcuni decessi avvengano per mancanza o per carenza di cure.
Paradossalmente, mentre molte aziende sanitarie provinciali si distinguono per sprechi, cattiva amministrazione e, a volte, per episodi corruttivi, i calabresi corrispondono un super ticket che aggrava ulteriormente il già precario bilancio familiare.
In questo quadro, non certo rassicurante, sono oltretutto e spesso, adottati provvedimenti di vero e proprio depotenziamento dei servizi.
Altrettanto, se non più grave, può considerarsi la situazione socio-assistenziale. La riforma del sociale non è mai decollata. L’integrazione resta un miraggio, se si esclude il continuo ricorso ai fondi dell’assistenza per rimpinguare le casse delle aziende sanitarie. Salvo qualche caso episodico, gli ambiti territoriali non hanno ancora prodotto alcun piano di zona e spesso non sono costituiti neppure gli uffici di piano.
L’emergenza Covid ha messo in luce un’impostazione ospedalocentrica che ha notevolmente aumentato la pressione sulle aziende ospedaliere ed ha evidenziato la carenza di una qualsiasi azione di medicina territoriale nonché di quella di base e prossimità.
Riuscirà il dopo Covid a cogliere un’occasione unica per un radicale e reale cambiamento del SSR che ha fallito la sua fondamentale missione non riuscendo a dare risposte adeguate a un profondo, comatoso stato di crisi? E’ la domanda ineludibile che rivolgiamo a chi si appresta a definire l’uso delle risorse previste nel PNRR che, se spese bene e nei tempi definiti e urgenti che la situazione e il Piano richiede attraverso scadenze certe e definite, potrebbero avvicinarci al resto della penisola.
Il lungo commissariamento della sanità calabrese si protrae da oltre dieci anni, senza conseguire risultati apprezzabili salvo nello spostamento in avanti del disavanzo che permane grave. Lo Stato assiste al fallimento collezionato dai commissari sfiorando il ridicolo.
La pandemia non è la causa da attribuire a tutti i mali strutturali. Li ha certamente accentuati facendo emergere una situazione di per se stessa grave e nota. Ulteriore rallentamento dell’erogazione di prestazioni improcrastinabili, l’interruzione di servizi essenziali per i pazienti cronici, oncologici, autoimmuni, ha reso visibili mali antichi, incapacità organizzative e pesanti interferenze della politica con implicazioni clientelari che hanno determinato spesso inutili e costosi incarichi a discapito del bene comune e dell’interesse generale.
I calabresi continuano a chiedersi come sia possibile ottenere i servizi richiesti a fronte dei relativi pagamenti (intramoenia) e negare l’erogazione nel caso di mancanza di disponibilità economica, con la conseguenza di spostare nel tempo accertamenti sanitari, anche urgenti e necessari e spesso persino “salvavita”.
Gli obiettivi dell’Agenda ONU 2030 sullo sviluppo sostenibile, che in particolare si pone come finalità quella di assicurare salute e benessere per tutti, impongono di mettere al centro dell’azione e dell’iniziativa la persona secondo un sistema socio-sanitario integrato che garantisca tutti a partire dalla marginalità sociale.
Si pensi a tal proposito anche alle caratteristiche orografiche della Calabria, a quanto la precarietà delle comunicazioni possa incidere sull’erogazione di servizi e prestazioni troppo spesso concentrati nei grandi agglomerati urbani. Per agire efficacemente sulla prevenzione è fondamentale investire sulla medicina del territorio, sugli strumenti innovativi, sulla telemedicina per raggiungere i diffusi contesti rurali presenti in Calabria.
L’invecchiamento della nostra gente che comporta l’incremento delle patologie croniche e degenerative che caratterizza contesti ad alto tasso di emarginazione, c’impone di tutelare in primo luogo chi vive in condizione di particolare povertà socio-sanitaria.
Per muoverci sul campo del disagio cui per molto tempo la politica si è mostrata, sostanzialmente, inefficace e indifferente, è indispensabile la bussola della coesione sociale. Serve che la Calabria da colonizzata e predata cominci a essere organizzata e competitiva. Serve che la Calabria sia dei calabresi per la rinascita della nostra terra.
 

                                                                                                                       Guglielmo Merazzi

                                                                                                  Vicepresidente CSV Calabria Centro

(Il contributo di Merazzi è stato pubblicato sul giornale nazionale “Buonasera Sud” del 24.06.21)

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