L’associazione Antigone, che dal 1991 si occupa del sistema penitenziario e penale italiano, ha presentato un dossier dal quale si evince il tasso di affollamento negli istituti di pena, oggi al 130,4% (al netto dei posti conteggiati dal ministero della Giustizia ma non realmente disponibili, precisano i responsabili di Antigone). In 56 istituti penitenziari, oltre un quarto di quelli presenti in Italia, il tasso di affollamento è superiore al 150% con punte di oltre il 200% negli istituti di Milano San Vittore maschile e Brescia “Canton Mombello”. «Significa che ci sono 200 persone detenute laddove ce ne dovrebbero essere 100», si legge in una nota diffusa oggi. «Per capire la gravità della situazione si pensi a una scuola o un ospedale dove ci siano il doppio degli studenti o dei pazienti che le strutture sono in grado di seguire. Quattromila detenuti in più in soli 12 mesi, il livello di sovraffollamento raggiunto nelle carceri italiane è ormai ai livelli di guardia».
Il sovraffollamento non risparmia neanche gli istituti penali per minorenni che, per la prima volta, registrano questa problematica. «Questa situazione ormai diffusa non è un elemento trascurabile se si parla di sistema penitenziario, infatti un carcere dove il numero delle persone detenute è superiore ai posti regolamentari è un carcere dove si vive male, dove non sono garantiti solo gli spazi ma anche l’accesso alle attività, in primis quelle lavorative», dichiara Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. «Un carcere sovraffollato è un luogo dove anche gli operatori fanno più fatica a lavorare, dove l’attenzione per le fragilità di molte persone detenute non riescono ad essere intercettate o seguite come meriterebbero. Laddove esistono situazioni di grave sovraffollamento, il detenuto è sempre più anonimo, sempre più un numero anziché una persona».
Oltre a questa condizione di sovraffollamento, il 2024 si sta caratterizzando anche come l’anno dell’emergenza suicidi. «Le persone che si sono tolte la vita all’interno di un istituto penitenziario sono state finora 58, di cui 10 solo nel mese di luglio e 12 nel mese di giugno», sottolinea Gonnella. «Di questo passo sarà superato il primato negativo registrato nel 2022, quando a fine anno le persone che si suicidarono in carcere furono 85. A certificare una contrazione della qualità della vita e della dignità di chi è in carcere in situazioni di grave sovraffollamento, ci sono anche i ricorsi presentati dalle persone recluse e accolti dai Tribunali di sorveglianza. Nel solo 2023 sono stati decisi più di 8.000 ricorsi presentati per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo per trattamenti umani e degradanti: di questi, il 57,5% è stato accolto dalla magistratura di sorveglianza. Generalmente, questi ricorsi si riferiscono in particolare alla mancanza dello spazio minimo vitale stabilito in tre metri quadri a persona. Una mancanza rilevata anche dall’Osservatorio di Antigone che, nelle 88 visite effettuate nell’ultimo anno, ha rilevato come nel 27,3% delle carceri ci fossero celle che non garantivano questo spazio minimo».
Un carcere sovraffollato è insicuro anche per i cittadini. «Non è un caso che il tasso di recidiva in Italia sia altissimo», spiega Gonnella. «Un dato rilevato il 31 dicembre 2021 testimoniava come solo il 38% delle persone detenute fosse alla prima carcerazione, il 62% invece ne aveva già almeno un’altra, con il 18% delle persone presenti in carcere che aveva almeno già cinque carcerazioni precedenti. Il sovraffollamento non è dovuto a cause naturali, è il frutto delle politiche governative. Quelle a cui abbiamo assistito nei primi due anni di governo Meloni, in tal senso, hanno avuto un ruolo nella crescita delle presenze in carcere con il considerevole aumento del numero di reati e un inasprimento delle pene per molte fattispecie. Il sistema penale viene utilizzato a scopo di ottenere consensi nel breve periodo e la situazione potrebbe peggiorare se fosse approvato il Ddl sicurezza, attualmente in discussione alla Camera dei deputati, che contiene al suo interno numerose norme di carattere penale. Tutti questi provvedimenti hanno tra loro un filo comune: colpiscono la marginalità sociale e le persone che per la loro condizione economica e sociale sono già più a rischio nel commettere reati. Persone che andrebbero sostenute attraverso il sistema di welfare e che entrano in carcere spesso con problematiche legate alla loro dipendenza da sostanze o affette da patologie psichiatriche (in diversi casi anche con doppia diagnosi) e che perciò avrebbero bisogno di percorsi di cura e non di essere imprigionate, con la loro gestione scaricata sugli operatori. Operatori che per formazione o per mancanza di organico fanno sempre più fatica a farsi carico delle necessità che emergono nelle carceri. Le proteste a cui abbiamo assistito nelle ultime settimane sono causa di questo disagio profondo che si vive nelle carceri e dell’impossibilità di far fronte in maniera adeguata alle richieste urgenti che emergono dalla popolazione detenuta».
Per affrontare questa situazione, scrive Antigone nel dossier, «occorrono provvedimenti urgenti che portino a ridurre notevolmente il sovraffollamento e a migliorare la qualità della vita nelle carceri. Provvedimenti che non possono essere quelli minimalisti previsti nel Decreto legge carceri, recentemente approvato dal governo e ora in discussione al Senato per la conversione in legge, ma che siano nel segno di maggiore coraggio: l’aumento di giorni della liberazione anticipata speciale; la depenalizzazione di alcuni reati (e lo stralcio del Ddl sicurezza); la liberalizzazione delle telefonate; l’assunzione di personale sia di polizia, che civile: educatori, psicologi, psichiatri, assistenti, sociali, mediatori culturali».
A proposito del decreto legge carceri, durante la presentazione del dossier è stato ricordato come «un emendamento vorrebbe portare alla riapertura degli ospedali psichiatrici giudiziari – Opg sotto altra forma. Infatti, si istituirebbero le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza – Rems di primo livello, per i detenuti con problemi psichiatrici più gravi, al cui interno vi sarebbe impiegato personale penitenziario. Si tratterebbe di fatto di un ritorno agli Opg e di un passo indietro rispetto alla riforma che abolì quella che era l’ultima istituzione totale manicomiale presente in Italia. L’appello di Antigone è che questo emendamento venga ritirato».
Il dossier completo può essere scaricato cliccando qui.
Fonte: Vita