Enti del terzo settore: è possibile un amministratore unico
Il Ministero del Lavoro lascia aperta la possibilità di una gestione monocratica ma solo per le fondazioni e, temporaneamente, per associazioni in fase di costituzione. Anche per le imprese sociali è preferibile una governace collegiale
Negli enti del Terzo settore la governance partecipata è quella più usuale ma è anche possibile avere un’amministrazione monocratica. Il chiarimento in una nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali che apre a questa possibilità a condizione che si rispetti la natura dell’ente e i rapporti con gli altri organi.
Alla base delle indicazioni, la natura stessa del Terzo settore che comprende diverse tipologie di enti, ognuna con proprie specifiche caratteristiche. Una struttura “flessibile”, quindi, che non mette limiti alla futura emersione di soggetti con strutture al momento sconosciute, in linea con la vitalità che contraddistingue questo mondo e l’emergere di nuovi bisogni sociali. Per questo motivo, non esiste una risposta unica sulla struttura dell’organo di amministrazione degli enti ma, allo stesso tempo, quest’ultima deve essere “conseguenza, ragionevole e coerente, della natura, della vocazione dell’ente, dello stadio vitale in cui esso si trova delle modalità più razionali che esso individua per perseguire le proprie finalità ultime e il proprio oggetto sociale, sia pure all’interno dei limiti posti dalla legge e più in generale, dalla volontà del legislatore”.
Fermo restando l’autonomia degli enti del Terzo settore, quindi, il ministero sceglie di dare delle linee di indirizzo generali che partono dalla lettura del Codice del terzo settore. Nel decreto, infatti, viene utilizzato il termine “amministratori” al plurale (art. 26) e non viene esplicitamente previsa la possibilità di una costituzione monocratica dell’organo di amministrazione (a differenza di quello di controllo).
Associazioni e fondazioni, due approcci differenti
In linea di massima rimane preferibile per gli enti costituiti in forma di associazione un organo collegiale, in quanto si tratta di organizzazioni che si contraddistinguono per una pluralità di associati, le cui caratteristiche necessarie sono il carattere aperto (possibilità di nuovi ingressi), la democraticità interna (uguaglianza degli associati ed elettività delle cariche sociali). Di conseguenza, anche l’organo di amministrazione dovrebbe rispecchiare questa natura, considerando che è responsabile non sono della gestione delle risorse dell’ente, ma anche dell’applicazione dei principi cui si ispira: democrazia e uguaglianza. Non a caso, l’organo di amministrazione è subordinato a quello assembleare: è insieme che valutano l’operato dell’ente, con il supporto dell’organo di controllo.
L’elemento che caratterizza le fondazioni, invece, è l’esistenza di un patrimonio costituito per il raggiungimento di un determinato scopo. In questo caso, quindi, l’organo di amministrazione lavora per gestire questo patrimonio in linea con la volontà espressa di fondatori. Per le fondazioni, quindi, è possibile un’amministrazione monocratica, fermo restando l’obbligo di individuarne le caratteristiche nello statuto.
Per le associazioni in fase di costituzione organo monocratico solo temporaneo
Vista l’apertura al tema da parte del ministero, in particolari casi si può inserire nell’atto costitutivo la possibilità di un organo monocratico temporaneo con il rinvio a una integrazione elettiva dell’organo stesso ma solo entro un determinato periodo o anticipatamente, nel caso in cui si sia raggiunto un numero di soci superiore al minimo.
La temporaneità è importante: nel caso in cui, il numero di associati iniziali sia particolarmente ridotto, individuare nell’atto costitutivo inizialmente un numero di amministratori di poco inferiore o anche coincidente con quello degli associati creerebbe una serie di difficoltà nel funzionamento dell’ente. Questa situazione estrema, infatti, non consentirebbe una effettiva distinzione tra organo di amministrazione e organo assembleare o tra le rispettive manifestazioni di volontà.
Imprese sociali in forma di società: prevale la natura di ente del Terzo settore
La nota ministeriale è anche un’occasione per chiarire il tema della “compatibilità” di alcune disposizioni presenti nel Codice del terzo settore con alcune norme in materia di società con il Codice civile (ma non di società cooperative), in particolare quelle che consentono di optare per un’amministrazione unipersonale in alternativa a quella di tipo collegiale. Il ministero sottolinea che il modello e la disciplina societaria sono sostanzialmente estranei al Terzo settore, all’infuori di alcune esplicite previsioni della norma.
Anche nel caso delle imprese sociali costituite in forma societaria, nel caso in cui le disposizioni civilistiche relative alla forma di impresa consentissero una composizione monocratica, tale possibilità sarebbe preclusa dalle indicazioni riguardanti la sua natura di ente del Terzo settore. Un esempio su tutti, la presenza di almeno un componente dell’organo di amministrazione da parte dei lavoratori ed eventualmente degli utenti.
Il caso degli enti religiosi civilmente riconosciuti
Per queste particolari organizzazioni, il regolamento che disciplina lo svolgimento delle attività ai fini dell’iscrizione al Registro unico nazionale del Terzo settore può prevedere che l’amministrazione sia affidata ad un organismo di carattere monocratico.
* Comunicazione CSVnet – Cantiere terzo settore