Ridurre l'anziano ad una categoria è l'errore più grave che si possa fare

auser cz lido evento gennaio

Ridurre l’anziano ad una categoria è l’errore più grande che si possa fare. Se è vero che l’incedere dell’età è un fatto biologico che ci riguarda tutti, è vero anche che non tutti invecchiano allo stesso modo. “Anzianità e rischio sociale” – il volume redatto a più mani che è stato presentato giovedì scorso nella Sala Concerti del Comune, e che fa seguito ad un convegno con cui l’Auser di Catanzaro, con il sostegno del Centro Servizi al Volontariato della provincia di Catanzaro, ha affrontato tempo fa la problematica – arriva a questa conclusione.

L’approccio multidisciplinare che ha visto il coinvolgimento di sociologi e giuristi (Felice Maria Barlassina, Carlo Bonifati, Gennaro Cicchese, Santo Delfino, Alberto Dones, Simona Gugliotta, Giovanni Minniti e Simona Raffaele), con il coordinamento di Bruno Maria Bilotta, professore ordinario di Sociologia dell’Università “Magna Graecia” di Catanzaro, serve a inquadrare la cosiddetta “terza età” in ambito giuridico, in rapporto con la pubblica amministrazione e come risorsa sociale all’interno delle famiglie.
Tenendo conto del fatto che, come ha fatto notare Giovanni Minniti, funzionario del Ministero dell’Economia e delle Finanze, il numero degli anziani aumenterà rispetto allo stesso andamento della popolazione; che il senso di “vuoto” dopo la pensione è a volte talmente opprimente da indurre chi lo prova alla depressione, come ha ribadito il sociologo Carlo Bonifati, per cui l’unica soluzione sembra essere il ricorso alla cittadinanza attiva per far ridiventare l’anziano protagonista, e che la persona non più giovane rappresenta un aiuto economico, oltre che una figura di riferimento dal punto di vista valoriale, per le famiglie sempre più disgregate – secondo quanto precisato da Simona Gugliotta, giovane collaboratrice della facoltà di Sociologia – non si può fare a meno di notare che è nell’approccio all’età che sta la differenza. Sessantacinque, settanta, ottanta anni, non importa: ciò che rileva è la voglia di sentirsi utili, di far programmi, di sognare e di dare forza, con l’ausilio della propria esperienza, ai giovani sempre più confusi: alla “ricetta” di Maria Molinaro, presidente territoriale dell’Auser, il presidente del CSV di Catanzaro, Luigi Cuomo, ha replicato con la “buona pratica” ormai avviata all’Umberto I, che vede impegnati ogni giorno gli “over 65” in una serie sempre più diversificata di attività attraverso l’impegno delle associazioni, a riprova del fatto che il desiderio di socializzare e di cimentarsi in qualcosa di nuovo può superare gli acciacchi dell’età.

Certo, il rischio sociale è dietro l’angolo, specie quando si perde il controllo del proprio “meccanismo” biologico e si diventa schiavo della medicalità, e quindi si dipende in tutto dagli altri: ma fintanto che “i ricordi non prendono il sopravvento sulla speranza”, come soleva ripetere il saggio Enzo Biagi, si può essere anziani senza essere “vecchi”. Anche se i mass media propinano messaggi pubblicitari legati ai guai dell’età (incontinenza urinaria, dentiera, apparecchio acustico, eccetera eccetera), ed anche se a vent’anni capita ancora di avere la percezione del quarantenne, cinquantenne già “vecchio”. E’ il guaio della mentalità diffusa che fa rientrare tutti in categorie determinate, senza contemplare l’età di mezzo, e senza far discrimine tra un anziano e l’altro, come se il trascorrere dell’età si portasse dietro sempre la malattia ed il declino. “Una volta si andava per esclusione, facendo distinzione tra giovani ed anziani – ha concluso il professore Bilotta – Oggi rischiamo di fare gli stessi errori, e li faremo sempre finché continueremo a “categorizzare”, dimenticando che non esiste l’anziano in quanto tale, ma la persona”.

Ufficio stampa CSV Catanzaro

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