Fedelissimi, pionieri, stacanovisti… Le "11 anime" dei volontari italiani

Volontari organizzati, ma anche volontari individuali. Dal gruppo dei fedelissimi dell’assistenza (il più numeroso) agli stacanovisti della rappresentanza. La nuova classificazione è contenuta nel libro “Volontari e attività volontarie in Italia. Antecedenti, impatti, esplorazioni” (Il Mulino).
ROMA – Undici  diversi “profili omogenei” di volontari in Italia. Sono quelli citati nel libro “Volontari e attività volontarie in Italia. Antecedenti, impatti, esplorazioni” (Il Mulino, 2016, 360 pp, 27 euro) presentato oggi a Roma. Ed è il capitolo scritto da Tania Cappadozzi e Ksenija Fonovic che individua, fra tutti i cittadini che si dedicano al volontariato, le seguenti “anime”.
Tra i volontari organizzati, troviamo:
I fedelissimi dell’assistenza. Con oltre 1,2 milioni di persone sono il gruppo più numeroso. Dedicano mezza giornata alla settimana nel campo dei servizi sociali, della protezione civile e della sanità, con attività riconducibili a quelle del personale qualificato nell’assistenza alla persona. Quasi tutti operano in associazioni strutturate.
Le educatrici di ispirazione religiosa. Sono oltre un milione e in maggioranza donne, con un’incidenza maggiore al Sud e nelle isole. Si dedicano alle attività educative e alla catechesi con un impegno medio settimanale di circa 3 ore vissuto anche come stile di vita. Seguono poco la politica, hanno un’istruzione medio-bassa, sono soddisfatti della propria vita.
I pionieri. Laici e più istruiti della media, questi 561 mila cittadini sono quelli a cui “le definizioni standard di volontariato vanno strette”. Al di là di una quota classificabile nel settore ambiente, molti sperimentano modalità di impegno “diverse” da quelle tradizionali, spesso in più associazioni, per una media di 3,5 ore alla settimana. In genere sono attivi da poco tempo rispetto agli altri profili.
Gli investitori in cultura. Quantificati in 427 mila, questi volontari mettono a disposizione competenze professionali specializzate e offrono supporto organizzativo per iniziative culturali e ricreative. Il loro impegno è assiduo (3 ore per più di 5 volte al mese) e svolto spesso in più di un’associazione.
I volontari laici dello sport. 368 mila persone, due volte su tre con ruoli tecnici, in prevalenza allenatori e dirigenti di associazioni sportive dilettantistiche a cui arrivano a dedicare fino a 40 ore in 4 settimane. Quasi la metà è attiva da più di 10 anni nella stessa associazione.
I donatori di sangue. Per lo più maschi, occupati, genitori e in buona salute, fidelizzati all’associazione, sono in totale 333 mila. Il loro impegno in termini di tempo è molto più limitato.
Gli stacanovisti della rappresentanza. 190 mila persone, per due terzi uomini, per un terzo pensionati, sono dirigenti (30%) e organizzatori di associazioni che si occupano di politica, attività sindacale e tutela dei diritti; per molti di loro l’impegno si può quasi considerare “a tempo pieno”.
Quattro invece le aree classificabili tra i volontari individuali:
Quelli che… danno una mano. 850 mila persone (più di un terzo dei 2,5 milioni che svolgono esclusivamente attività non organizzate), si attivano su bisogni circoscritti e momentanei verso la propria rete di amici, vicini o conoscenti. Offrono aiuto in casa o per pratiche burocratiche. Sono la “filiera corta” delle reti di prossimità. Poche ore di impegno medio, appartengono a famiglie con scarse risorse economiche, hanno una bassa fruizione culturale e si interessano pochissimo di politica.
Quelle che… senza come si farebbe. Sono 707 mila individui che offrono assistenza qualificata a persone in difficoltà (anziani bambini) appartenenti alla propria cerchia, ma non solo. È una relazione di aiuto duratura, un vero e proprio servizio complementare all’autogestione famigliare. L’attività di cura è svolta in prevalenza da donne: sette su dieci lo fanno per almeno 10 ore al mese, una su cinque per più di 40 ore al mese.
Quelli che… scelgono di fare da soli. Di dimensioni quasi pari al precedente (668 mila), di questo gruppo fanno parte per lo più professionisti istruiti, che hanno un lavoro e sono impegnati con continuità e da molti anni in aiuto alla collettività o per l’ambiente e la cultura. Sono simili agli “investitori in cultura”, ma hanno scelto di impegnarsi fuori dalle organizzazioni, dedicando meno tempo di loro a al volontariato (da due a quattro ore al mese).
Quelli che… per donare vanno diritti all’ospedale. Sono 246 mila individui, quasi tutti donatori di sangue. Simili a chi dona “per conto” di un’associazioni, tra essi è più alta la percentuale di chi si attiva su sollecito di un bisogno specifico, spesso legato alla comunità di appartenenza.
Non solo ricchi. Il libro curato da Guidi, Cappadozzi e Fonovic non si esaurisce in questa catalogazione, ma consegna molti altri elementi di riflessione. Ad esempio corregge in parte l’interpretazione emersa durante la prima presentazione dell’indagine, e cioè che il volontariato sia un’attività “riservata” prevalentemente ai ricchi. La variabili più importante, dicono i ricercatori, non è quella economica, bensì quella socio-culturale: il titolo di studio, le abilità tecnologiche, la partecipazione, è soprattutto questo che genera una maggiore propensione e fare volontariato. Mentre resta in proposito sempre fortissima – anche per gli “individuali” – l’identità e la spinta religiosa.
Quanto agli effetti sociali generati dal volontariato, infine, si conferma nettamente il suo contributo al benessere e all’autostima di chi lo fa, il suo favorire la partecipazione politica delle fasce di popolazione più svantaggiate e il grado di fiducia verso gli altri (ma non necessariamente verso le istituzioni).
Fonte Redattore Sociale
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