Superare i limiti degli strumenti operativi e della normativa che attualmente regola la gestione dei beni sequestrati e confiscati alle mafie. E’ il punto di partenza della proposta di profonda revisione della materia, presentata a Roma, presso la sede dell’Acri.
Lo studio è frutto della riflessione di un gruppo di lavoro coordinato dalla Fondazione CON IL SUD e costituito dal Forum del Terzo Settore, dalla Fondazione Cariplo, dalla Fondazione Cariparo, dalla Fondazione Sicilia, dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna (che ha coordinato il gruppo di lavoro giuridico) e che si è avvalso della collaborazione di Nomisma.
L’esigenza di sviluppare un’approfondita riflessione sul tema è scaturita dall’esperienza maturata da alcune Fondazioni che negli ultimi anni hanno sostenuto progetti di valorizzazione e gestione di beni confiscati alle mafie e in particolare dalla Fondazione CON IL SUD che ha sostenuto 39 progetti su 50 beni confiscati (39 fabbricati e 11 terreni) nelle regioni meridionali e, attraverso due bandi dedicati alla loro valorizzazione, ha erogato oltre 6,7 milioni di euro (la terza edizione del bando sarà pubblicata quest’anno).
Le indicazioni dello studio individuano i punti decisivi di una possibile e auspicata revisione della materia, ma non si spingono fino alla definizione puntuale dei contenuti di un eventuale nuovo assetto normativo, né fanno diretto riferimento alla discussione attualmente in atto in sede parlamentare.
All’incontro hanno partecipato Giuseppe Guzzetti, Presidente Fondazione Cariplo che ha introdotto l’iniziativa; Carlo Borgomeo, Presidente Fondazione CON IL SUD che ha illustrato il documento e Pietro Barbieri, Portavoce Forum del Terzo Settore che ha concluso l’incontro. Presenti anche Giovanni Puglisi, Presidente Emerito Fondazione Sicilia; Marco Giampieretti, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo; Marco Cammelli, Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna – Coordinatore gruppo di lavoro giuridico; Giulio Santagata, Consigliere delegato Nomisma.
In Italia i beni immobili confiscati sono 23.576 (dati ANBSC, febbraio 2016), concentrati soprattutto in 6 regioni (Sicilia 43,51%, Campania 12,76%, Calabria 12,00%, Puglia 9,46%, Lazio 7,02%, Lombardia 6,88%). Non sono disponibili, però, dati certi sul numero di beni utilizzati, nonostante i 21 milioni di euro destinati nel precedente ciclo della programmazione dei Fondi strutturali alla loro mappatura. Una recente ricerca di Libera ha censito 525 soggetti, del terzo settore, che hanno valorizzato beni confiscati. Non va meglio sul fronte delle aziende confiscate: l’ANBSC ne segnala 3.585 ma, secondo gli ultimi dati disponibili, sono meno di 10 quelle date in gestione a cooperative di dipendenti, mentre 1.893 sono in carico all’Agenzia che non ha ancora deciso la destinazione.
Non esistono invece dati sui beni mobili, registrati e non.
L’attuale normativa prevede che le somme di denaro (comprese le attività finanziarie a contenuto monetario o patrimoniale) affluiscano al Fondo unico di giustizia (FUG); la proposta è che a capo dell’intera filiera si preveda un “Ente” pubblico economico, che subentri all’ANBSC ma con più vaste competenze e responsabilità, con sede a Roma e personale con contratto di diritto privato, gestito da un Consiglio di Amministrazione di nomina pubblica composto da manager con esperienze industriali, immobiliari e finanziarie, da un rappresentante dell’ANCI e delle Associazioni più impegnate nella lotta alle mafie. L’Ente si dovrebbe occupare di gestire lo stock di risorse derivanti dalle confische e dai sequestri, che attualmente fanno parte del FUG.