Le caratteristiche del divario Nord-Sud sono note: il reddito disponibile pro-capite nel 2016 era al Sud pari a circa 13mila euro, poco più della metà di quello medio al Centro-Nord (21mila), riflesso di un tasso di disoccupazione che al Sud arriva al 22%, a fronte di un 3,1% di minimo al Nord. Divari amplissimi che non si riscontrano in nessun altro Paese europeo e che ridisegnano una mappa europea dove le regioni del Nord non si differenziano da quelle più avanzate della fascia centro-continentale (Germania, Olanda, nord della Francia e Austria), mentre le regioni del Sud sono allineate alle più arretrate regioni europee (in Grecia, Portogallo e Spagna). Nessun paese convive con tali estremi al suo interno e li ignora, come è avvenuto da noi negli anni recenti.
Solo i risultati delle ultime elezioni, che hanno visto una polarizzazione geografica dei consensi, hanno riportato alla ribalta il Mezzogiorno e indotto Lega e M5S a creare un ministero per il Sud. Dopo la convergenza dei due o tre decenni seguiti alla seconda guerra mondiale, è ripresa la divaricazione tra Nord e Sud e la lunga crisi iniziata nel 2008 ha ulteriormente peggiorato la situazione. Una Prometeia Discussion Note ha recentemente messo a fuoco i fattori alla base di questo peggioramento (https://www.prometeia.it).
Gli aspetti del divario Un divario che ha molte facce: innanzitutto la specializzazione settoriale, che vede il Sud meno industrializzato (11,8% la quota sul valore aggiunto totale rispetto al 24.6% del Nord-Est) e dunque con una minore capacità di esportare (11,3% la quota di export sul Pil a fronte del 35% del Nord-Est). Non sorprende quindi che la quota di lavoratori impiegati in micro-imprese (quelle con meno di 10 addetti, le meno produttive) sia del 62.4% al Sud contro una media del 20% al Nord e, specularmente, sia minima (9%) la quota di lavoratori in imprese grandi (più di 250 addetti, 27.8% nel Nord-Ovest). Caratteristiche strutturali che si intrecciano con una dotazione di capitale fisico e umano decisamente inferiore. Mentre il Nord è valutato raggiungere il 50% di una dotazione delle infrastrutture considerata ottimale secondo standard definiti dalla Commissione Europea , il Sud non arriva nemmeno al 20% di tale dotazione ottimale. Il capitale umano In termini di capitale umano le cose non vanno meglio: la quota di laureati è decisamente inferiore, soprattutto di laureati nelle discipline scientifiche e ingegneristiche. E non è solo un problema di quantità, ma anche di qualità dell’istruzione, con score dei test Pisa-Invalsi del 20% inferiori al Sud rispetto alle regioni settentrionali, dove le competenze degli studenti non si differenziano da quelle dei coetanei centro-europei. Tutto ciò determina un livello di produttività media per addetto al Sud del 40% più bassa di quella media al Nord. In queste condizioni, le politiche redistributive di parte delle entrate fiscali del Nord verso il Sud, come da tempo osservato, finisce per ritornare almeno parzialmente al Nord sotto forma di domanda di prodotti. In prospettiva, due aspetti meritano attenzione perché forieri di possibili ulteriori problemi. Il primo è l’andamento demografico: l’Italia è un paese che invecchia, è ben noto, ma mentre al Nord il fenomeno è iniziato già dagli anni ‘80 ed è stato parzialmente contrastato dall’immigrazione e in qualche modo già “metabolizzato”, al Sud i tassi di natalità hanno cominciato a scendere più tardi ma si sono abbassati drasticamente per cui le regioni meridionali nei prossimi anni invecchieranno molto velocemente (perderanno 1 milione 300 mila persone in età lavorativa nei prossimi 13 anni). Un fenomeno aggravato dalla prosecuzione del brain drain, l’emigrazione di giovani, in genere i più qualificati, verso le regioni centro-settentrionali.
Riduzioni dei fondi Il secondo aspetto prospetticamente problematico è quello della possibile riduzione dei fondi Europei, fondi che pur con tanti limiti hanno rappresentato una risorsa non irrilevante per queste aree. L’esercizio 2021-2027 di cui si inizia a discutere ora nelle sedi europee fronteggia la riduzione/azzeramento dei contributi del Regno Unito in uscita dall’UE, e la battaglia per la divisione di una torta più piccola si preannuncia feroce.
Italiani prima? Un’area del Paese che rappresenta un terzo della sua popolazione e un quarto del suo Pil non ha finora ricevuto l’onore almeno di un qualche annuncio di soluzione radicale per rilanciarne quel potenziale di crescita che ancora rimane e che un reddito di cittadinanza diffuso e non mirato alla riqualificazione potrebbe ulteriormente disincentivare. La neo-ministra per il Sud Barbara Lezzi non potrà certo contare sull’arrivo di un cavaliere mascherato che sul suo destriero bianco sia in grado di risolvere problemi così radicati e interconnessi con un silver bullet. La ministra dovrebbe avere l’aiuto e la solidarietà di tutti gli altri ministri perché è anche la crescita potenziale dell’intero paese che ne trarrebbe vantaggio. Falsi problemi Per il momento invece gli annunci del governo riguardano, oltre all’immigrazione, la riduzione delle imposte. Essendo la distribuzione del prelievo prevalentemente concentrata al Nord, ciò potrebbe ridurre il cosiddetto residuo fiscale delle regioni del Nord e quindi tendere a prosciugare le fonti di finanziamento per il Sud. Inoltre, se il finanziamento della riduzione delle imposte sarà coperto almeno in parte da riduzione di spesa corrente, quel po’ di risorse attualmente esistenti per il Sud sarà ulteriormente ridotto. Sarà in grado la ministra di mettere d’accordo provvedimenti che tendono ad allargare la distanza tra Nord e Sud con altri che probabilmente sta studiando perché la convergenza possa riprendere? Si troverà comunque ad agire in condizioni di risorse molto limitate e dovrà innanzitutto renderne più efficace la gestione.