Il termine “resilienza” piace moltissimo a Luana. Le avversità della vita che la vedono tuttora protagonista non l’hanno abbattuta, anzi, l’hanno resa più forte, più “resistente”, tanto da vedere nella malattia un’opportunità. Ha riscoperto la vita sociale, gli amici, quelli veri, che non ti abbandonano nelle prove decisive, ed il volontariato. Le sue giornate, ora, trascorrono molto più veloci di prima, perché molti sono gli impegni, i momenti condivisi con le persone care, e le ore trascorse all’Università per seguire i corsi di sociologia. Eppure Luana Maurotti soffre di Lupus eritematoso sistemico, una malattia cronica di tipo autoimmune che causa disturbi in varie parti del corpo, in special modo alla pelle, alle articolazioni, ai reni, al sangue e ad ogni tipo di tessuto connettivo.
Cosa sia all’origine della malattia è ancora oggi ignorato (tra le ipotesi una predisposizione genetica o anche un trauma o un periodo di forte stress), ma quel che è certo è che il Lupus colpisca prevalentemente le donne (il rapporto è di nove ad uno rispetto agli uomini), e che tanto raro non sia più (ne sono affette 60mila persone in Italia, tra le quali anche bambini). Persino in una piccola città come Catanzaro, ed in particolare nella zona a sud, dove Luana vive, si enumerano diversi casi di persone ammalate: tra queste, anche la sorella di Luana, che pur non avvertiva gli stessi sintomi.
“Non è un caso che si chiami “Lupus” – chiarisce Luana, abituata a parlare della sua malattia con sorprendente naturalezza – Proprio come fa il lupo, infatti, aggredisce all’improvviso, e non fai in tempo ad accorgertene che ha già creato parecchi danni”. E’ stato avvilente per Luana non essere creduta dai medici per anni, nonostante avesse dei disturbi all’apparenza confondibili con altri: e solo nel 2004, a trentotto anni, dopo un delicato intervento al rene effettuato a Milano, terribili dolori e tredici chili in meno, Luana ha avuto la sua diagnosi. Lupus. E di colpo si è sentita come Cappuccetto Rosso nel bosco, “a tu per tu” col lupo che aspetta, pericolosamente, il momento giusto per aggredire.
Col tempo, Luana ha dovuto adattarsi all’idea di convivere con una patologia per la quale non esiste cura, che viene tenuta a bada con il cortisone e con farmaci antimalarici, e che alterna fasi silenti che non devono però ingenerare illusioni. Il suo impegno nel Gruppo Les Italiano (è membro del consiglio nazionale nonché responsabile regionale dell’associazione) è stato consequenziale alla propensione naturale per gli altri, che va di pari passo col carattere allegro e solare che la identifica da sempre.
Da sei anni Luana porta avanti le battaglie del Les, che poi sono anche le sue, sia in termini di cura (scopo del Les è quello di sostenere la ricerca scientifica, oggi completamente ferma) che di cultura e conoscenza della malattia, ritrovandosi a fare i conti con le giornate “non buone” nelle quali tutto risulta difficile, anche compiere i gesti quotidiani più banali. Ed è così che ha imparato ad adattare alla sua vita la teoria “del cucchiaio”: “E’ la teoria elaborata da una ragazza affetta da Lupus in cui l’esistenza di una persona ammalata viene metaforicamente riassunta nella possibilità di utilizzare un numero limitato di “cucchiai”, ovvero di occasioni, che una persona sana ha invece a disposizione in maniera smisurata ed inconsapevole – continua Luana – Per noi “lupette” anche alzarsi dal letto e fare colazione vale un cucchiaio. Spesso ci ritroviamo, al termine di tutte le operazioni quotidiane, a non avere più cucchiai, perché non abbiamo più la forza di fare altro. Ecco perché ci abituiamo a scegliere con saggezza le cose da fare durante la giornata, perché i cucchiai potrebbero non bastare, o essere presi in prestito dal giorno dopo in cui, anche per un banale raffreddore, potremmo averne davvero bisogno”.
Per rilasciare l’intervista, quindi, Luana ha utilizzato un cucchiaio: e così fa ogni volta che si intrattiene con un’amica, va a fare un esame all’Università o, semplicemente, la spesa per la famiglia. Ma tutto questo non è vissuto come un limite, anzi, per Luana, se i limiti esistono, è perché vanno superati: “La malattia mi ha tolto la normalità, ma mi ha dato altri sogni – afferma Luana con convinzione – Prima gestivo un negozio, ora mi dedico allo studio ed approfondisco le relazioni con gli altri. Dopo tre anni di scuola serale, ho preso il diploma e la prima laurea in scienze sociali: ora mi sono iscritta al corso di sociologia e spero di specializzarmi in criminologia. Ma non faccio programmi a lungo termine, la malattia mi ha insegnato a godere di ogni momento in cui riesco a stare bene ed a fare del bene”. Anche la fede, sopraggiunta come grazia, l’ha aiutata a spostare l’attenzione da sé e dal senso di onnipotenza tipicamente umano, ricordandole che la vita è un dono, e che nulla dura per sempre. Persino la malattia. “Gesù non è l’ultima spiaggia, ma l’isola – conclude Luana – L’effetto correlato alla malattia che mi ha procurato più dolore, e che ha sconvolto mio marito e le mie figlie, è stato il dovermi per forza di cose affidare ad una stampella. Presto dovrò anche ricorrere ad una macchina con il cambio automatico per potermi spostare. Ma non mi abbatto. Ho deciso che mi sottoporrò ad un intervento molto delicato per non ridurmi sulla sedia a rotelle. Lo attendo da mesi, ma purtroppo l’hanno rinviato a causa dell’insorgenza di una neuropatia motoria assonale. Mi hanno già detto che la percentuale di esito negativo dell’operazione è dell’85%. Ma perché non dovrei ricadere nella casistica del 5%?”
Che lezione di vita viene da Luana! E a riprova del suo coraggio pronuncia queste parole per prendere congedo dall’intervista, resa all’ufficio stampa del Centro Servizi al Volontariato della provincia di Catanzaro: “Ho un solo sogno: potermi mantenere come sono ora. So bene, infatti, che la vita non mi appartiene”.